Una storia da migrante spezzata.
Piero Cirino
Nello scorso mese di giugno, in occasione dei festeggiamenti del secondo anniversario del centro di accoglienza “Il rifugio di Isaac”, che dà asilo a minoriprovenienti da terre infestate dai conflitti più assurdi, prese il microfono in manoe ci si accorse subito che si trattava di un leader. Che del capo avesse il carisma lo testimonia anche il suo curriculum, che racconta di un ragazzo che promuove uno sciopero scolastico dopo l’uccisione di un giornalista nel Burkina Faso, dove era nato, a Sampema, nel distretto di Zabrè. Da quelle parti chi fa queste cose viene gettato in fondo a una cella e se ne butta la chiave. Questo nella migliore delle ipotesi, perché spesso capita che se ne ritrovi il cadavere senza che nessuno sappia o dica nulla. Per questo, Abou è costretto a fuggire. Parte il 17 dicembre 2007, arriva dopo duegiorni in Niger, quindiad Agadese Doukourov, per poi giungere in Libia, dove rimarrà per oltre otto mesi, a pulire casa e accudire gli animali in una casa privata. Il 15 ottobre dell’anno successivo, su un gommone, arriva a Lampedusa e ci arriva dopo tre giorni e tre notti di navigazione, in cui con i suoi compagni di ventura, costipati come sardine, ha rischiato la vita istante dopo istante. Se cadi, lì nessuno ti soccorre. Da Lampedusa arriva ad Acri, dove è appena nato “Il rifugio di Isaac”. Qui rimane un anno e mezzo circa. Studia, con risultati eccezionali, e si integra alla perfezione, anche grazie all’aiuto della sua tutrice Maria Grano, dell’Ufficio Servizi Sociali del Comune, oltre a quello degli operatori del Centro, che ormai sono diventati una famiglia. Appena maggiorenne trova lavoro in un distributore di carburante, viene regolarmente assunto, fitta casa ed è amico di tutti. Se lo trovi al bar, non c’è verso: è lui che deve pagare. Chiama mamma e papà chi nei suoi confronti sidimostra amico ed èunmodoper esprimerelasuagratitudine. Venerdì sera erano molti i “genitori” a piangere. Luigi Branca, responsabile del “Rifugio di Isaac”, ricorda il “ragazzo solare, con il piglio da leader eun timbrodi voce un po’più alto. Sembrava quasi che ti aggredisse, ma quello che diceva non coincideva quasi mai con come lo diceva. Era – prosegue Branca – un inno alla vita e un punto di riferimento per gli altri ospiti della struttura, anche dopo che se n’era andato”. Abou anche per il Centro ha rappresentato un esempio e, quando l’emozione popolare sarà svanita, quando il ciglio sarà asciutto, l’immagine di questo bel ragazzo potrà dare una mano a quanti magari saranno più fortunati di lui. Fonte: "Il Quotidiano della Calabria" del 10-09-2010. |
PUBBLICATO 12/09/2010
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