Un ponte verso Dio.
sac. Sergio Groccia
E' questa immagine del ponte quella che mi è venuta in mente pensando alla pagina del Vangelo. L'evangelista Luca racconta per ben due volte questo avvenimento dell'ascensione di Gesù al cielo: qui alla fine nel Vangelo, e poi all'inizio del racconto della prima comunità dei cristiani, nel libro degli Atti degli Apostoli (che questa domenica a messa ascoltiamo come prima lettura). L'ascensione fa da cerniera ai due racconti di Luca, che molti definiscono come un unico Vangelo diviso in due tempi: il tempo di Gesù e il tempo della testimonianza di Gesù. Nel racconto evangelico Luca descrive in modo volutamente vago e indeterminato gli avvenimenti che riguardano il distacco di Gesù Risorto dai suoi amici e discepoli. Infatti il luogo e la modalità del fatto sono vaghi, quasi simbolici, e in pratica viene raccontato come ad un certo punto Gesù non è più con i suoi, e cambia il modo di esser presente. Non c'è un clima di tristezza nel racconto, anzi sembra un distacco quasi previsto e tranquillo. Gli apostoli sono contenti e vengono descritti come in continua preghiera. Gesù che sale al cielo non è dunque vissuto come un distacco definitivo. Gesù non è passato dall'altra parte, dalla parte di Dio, senza più possibilità di comunicazione. Questo si che produrrebbe sofferenza e tristezza nei suoi amici! Gesù salendo al cielo dopo esser risorto, ha gettato un ponte. Tutta la sua vita è stata un porre le basi di questo ponte tra la realtà di Dio e la realtà degli uomini, che sembrano sempre così incomunicabili e distanti. Quante volte anche per noi la realtà di Dio ci appare distante e quasi quasi inesistente. Sono così tante le preoccupazioni che abbiamo su questa sponda della vita, che pensare a quella di Dio ci pare inutile e alla fin fine una perdita di tempo. Tornando all'immagine del ponte mi viene in mente quando c'è la nebbia . La nebbia se è molto fitta, specialmente di notte, fa "sparire" l'altra sponda del fiume, e sembra che quella parte della città sia scomparsa e irraggiungibile. Mi piace molto vedere il ponte che partendo dalla sponda dove mi trovo "scompare" nella nebbia, ma nello stesso tempo mi segnala che dall'altra parte la sponda che non vedo c'è, e proprio attraverso il ponte la posso raggiungere. Il ponte diventa dunque un segno di speranza e una possibilità aperta, anche se gli occhi non vedono cosa c'è dall'altra parte. Gesù risorto che sale al cielo lo sento come un ponte gettato verso Dio. Così, credo, lo hanno percepito gli apostoli suoi amici, che lo avevano visto soffrire e morire, ma che ora lo sentono vivente e mai più separato da loro. La loro gioia, così come è raccontata nel Vangelo, ci testimonia la loro certezza che anche nelle durezze della vita e nella nebbia della fede, la sponda di Dio non è scomparsa o irraggiungibile. Le ultime parole che Gesù pronuncia con la sua voce ai discepoli, sono un ulteriore messaggio di speranza. I discepoli non solo hanno in Gesù "un ponte" tra cielo e terra, tra Dio e loro. Lo Spirito Santo rende i discepoli stessi "ponti" come Gesù. "Di questo voi siete testimoni " dice Gesù ai suoi. Il nostro compito di cristiani è dunque essere ponte tra chi cerca Dio e Dio stesso. Sembra difficile e a volte impossibile. Ma proprio per questo Gesù aggiunge ai suoi la promessa di una potenza "dall'alto". E' lo Spirito (e non solo le nostre povere e imprecise forze umane) che ci rende ponti viventi. Siamo ponti non solo con chi ci sta vicino, ma per chiunque incontriamo e verso il quale andiamo "fino ai confini della terra" (come è scritto negli Atti degli Apostoli).
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PUBBLICATO 17/05/2010
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