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La STORIA dell’acqua si RIPETE.

Fabio De Marco
Foto © Acri In Rete
Per far chiarezza su alcuni dubbi riscontrati durante la raccolta delle firme a sostegno della legge di iniziativa popolare per l'acqua bene comune, avvenuta due anni fa, vorrei sensibilizzare l'opinione pubblica rispetto al vero problema dell'acqua, sperando di evitare future errate affermazioni palesemente derivate dal modo in cui il senso comune ha colto il problema della privatizzazione. In particolare vorrei evidenziare che il problema non è solo locale, non deriva quindi da una cattiva amministrazione comunale e non è neanche una sorta di calamità dovuta ad eventi straordinari.
Gli apologeti della privatizzazione hanno persuaso la coscienza della collettività diffondendo notizie paradossali, ad esempio che il rincaro dell'acqua derivato dalla privatizzazione sarebbe un incentivo per stimolarne la riduzione dei consumi, oppure, specie in ambito locale, sarebbe uno strumento più efficace contro gli evasori che per anni non hanno pagato la bolletta; altri ancora sostengono benefici in merito alla manutenzione, alla gestione della risorsa in sé, ed a tanti altri problemi strutturali, peraltro facilmente opinabili; basterebbe infatti iniziare a concepire i problemi di gestione pubblica (che indubbiamente ci sono) non come "naturali" sventure collettive (avvolte da uno spesso velo mistico), ma come diritti che quotidianamente ci vengono negati.
Per individuare le dinamiche che hanno portato alla privatizzazione dell'acqua bisogna, innanzitutto, osservare l'ambito sovranazionale. Sicuramente non è mia intenzione, in questo scritto, fornire considerazioni sui caratteri della globalizzazione o su come questa decisione, come tante altre che interessano la vita quotidiana di ognuno di noi, sia stata contratta in assoluta assenza di democrazia dalle eminenti tecnocrazie sovranazionali. Mi preme riportare, però, che nel 1992, in occasione della Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sull'acqua a Dublino, è stato introdotto formalmente il principio dell'acqua come "servizio di cittadinanza", che deve essere preso a carico del consumatore del servizio stesso. Tale principio è stato "codificato" l'anno successivo dalla Banca Mondiale, e sostenuto sia dall'Organizzazione Mondiale del Commercio che dall'Unione Europea, notoriamente impegnata nella spinta alla liberalizzazione dei servizi.
Ridefiniamo dunque le conclusioni citando Vandana Shiva (2006): "oggi ci troviamo di fronte ad una crisi planetaria dell'acqua, che minaccia di aggravarsi nel corso dei prossimi decenni;
il peggioramento della crisi è accompagnato da nuove iniziative per ridefinire i diritti sull'acqua. L'economia globalizzata sta cambiando la definizione di acqua da bene pubblico a proprietà privata, una merce che si può estrarre e commerciare liberamente. L'ordine economico globale chiede la rimozione di tutti i vincoli e le normative sull'uso dell'acqua e l'istituzione di un mercato di questo bene. I sostenitori del libero commercio dell'acqua vedono i diritti di proprietà privata come unica alternativa alla proprietà statale e i liberi mercati come il solo sostituto alla regolamentazione burocratica delle risorse idriche
".
Coloro che sostengono che l'acqua debba rimanere un bene pubblico più di qualsiasi altra risorsa, possono opporsi a queste tendenze resistendo dal basso ai recenti provvedimenti di liberalizzazione/privatizzazione dell'acqua.

PUBBLICATO 23/11/2009

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