RELIGIONE Letto 2979  |    Stampa articolo

Vittime o carnefici...

sac. Sergio Groccia
Foto © Acri In Rete
Chi di noi, di fronte a momenti di incomprensione, a uno screzio con un proprio parente, all'indifferenza di un amico non ha citato, almeno una volta nella sua vita, la frase evangelica "Nessuno è profeta nella sua patria?".
Questa comune esperienza ci fa capire, un po' come capita con i saggi detti popolari, che si tratta di una verità alla quale è difficile sottrarsi, a volte come "vittime", a volte come "carnefici".

Come "vittime". Quante volte desideriamo, soprattutto nella nostra esperienza di famiglia, condividere con il proprio coniuge o con i propri figli, gioie, sofferenze, speranze, ambizioni, risultati del proprio lavoro.
E puntuale arriva l'indifferenza, spesso mista a sottovalutazione, a un atteggiamento di scontatezza come se tutto quello che si fa, si pensa, si sogna sia atto dovuto, semplice effetto di un banale "fare".

Come "carnefici" L'idea costante che si insinua in ogni difficoltà, di fronte alla quotidianità che "spezza", che i figli degli altri, le mogli o i mariti degli altri, il lavoro, la casa, il carattere degli altri sono sempre migliori di quello che ci appartiene. E questo nonostante la persona che ci vive accanto sia stata a suo tempo scelta da noi, che i figli che abbiamo vicini li abbiamo fatti, cresciuti ed educati noi, che il lavoro che facciamo è il risultato di una vita fatta di studio o di fatiche che ci hanno portato fin lì.

Questo atteggiamento appare allora solo quale evidenza di qualcosa di più profondo e cioè un senso di insoddisfazione che pervade l'uomo che non vuole fidarsi di Dio, che pensa che la realtà che vive sia solo il risultato di scelte proprie, di abilità proprie e di propria vanità.

L'uomo che si rende autosufficiente dal suo creatore è un uomo che non sa riconoscere l'eccezionalità di un evento che si presenta nella sua dimensione feriale, è un uomo che non sa stupirsi delle piccole cose, è l'uomo che non sa cogliere la bontà in ogni gesto e la bellezza in ogni sorriso.
E' l'uomo che non ha pazienza con gli altri perché prima di tutto non ha pazienza con se stesso.

Quella pazienza che invece sempre ha con noi il nostro Padre buono che ci ha creato e vede il meglio in ognuno di noi, senza stancarsi e con lo stupore innamorato di un bambino.
Siamo spesso noi, incapaci di essere "bambini" in senso evangelico, che "leghiamo" le mani alla provvidenza del Padre e al Suo manifestarsi tra noi.
Pensiamo di essere adulti... ed invece siamo solo infantili e non "bambini" come invece lo Spirito Santo dentro di noi ci chiede, costantemente.


PUBBLICATO 06/07/2009

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