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Federalismo fiscale: il Ministro Tremonti svela gli arcani.

Angelo Montalto
Foto © Acri In Rete
È stata approvata definitivamente dal Parlamento Italiano la legge di delega sul federalismo fiscale i cui contenuti, come indicato da un mio precedente articolo, sono unicamente determinativi di principi generali.
Si tratterà ora di attuare tali principi e ciò attraverso l'emanazione di specifici provvedimenti normativi i cui effetti potranno essere differenziati secondo le concrete scelte del legislatore.
Il punto di snodo sarà quello di delineare un nuovo assetto istituzionale della Nazione in cui l'autonomia territoriale si dovrà coniugare con una maggiore solidarietà nazionale, anche per superare le macroscopiche disuguaglianze ad oggi presenti.
E qui la questione si complica.
La discussione parlamentare sul disegno è stata imperniata sulla semplice petizione di principi.
Al dibattito è mancata la pur minima presenza di alcuni supporti fondamentali necessari ad una seria valutazione degli effetti della legge delega.
Ed infatti, non sono state assolutamente valutate le poste quantitative in gioco, e ciò perché il Governo non è riuscito a fornire, per le motivazione che si vedranno, i dati numerici cui imprescindibilmente ancorare la riforma.
In merito, ho già sottolineato come il disegno di legge fosse carente di un quadro completo sui costi della riforma, essendo avvenuta la sua stesura nella completa assenza di informazioni accurate sul mondo dei governi locali, dei loro sistemi tributari, della struttura e composizione della loro spesa.
Inoltre, il disegno di legge è stato approvato senza alcuna definizione delle funzioni fondamentali dei Comuni di cui all'art. 117, comma 2, lett. p, della Costituzione Italiana, funzioni cui dovrebbe legarsi il finanziamento per costo standard.
Del tutto mancante è stata, ancora, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che dovrebbero essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e di cui al medesimo art. 117, comma 2, lett. m.
Ciò evidentemente, in un quadro complessivo in cui si registra la mancata definizione delle competenze tra lo Stato da un lato, e le Regioni, Province e Comuni dall'altro, così come la non caratterizzazione costituzionale del Senato come Camera delle Regioni.
Solo l'esistenza di simili dati e la realizzazione dei presupposti istituzionali sarebbe stata in grado di dare al disegno di legge sul federalismo fiscale un imprimatur tale da consentire una seria discussione parlamentare, evitando il rischio che una riforma storica si tramutasse in uno slogan elettorale di cui la nostra Nazione di certo non ha bisogno.
Ho voluto solo ricordare alcuni passi del mio precedente intervento perché, leggendo la Relazione unificata sull'economia e la finanzia pubblica del Ministro Tremonti dell'aprile 2009, ho avuto conferma di quanto quei dubbi e quelle perplessità -che sono stati poi i dubbi e le perplessità di chi in Parlamento, meglio di me, ha evidenziato simili deficienze votando contro il disegno di legge - fossero fondati.
Il contenuto della relazione, infatti, avvalora la tesi che il futuro del federalismo fiscale è ancora pieno di nubi.
La Ruef premette che "Il processo di quantificazione finanziaria degli aspetti connessi all'attuazione del federalismo fiscale, in relazione al testo del disegno di legge delega (…) si presenta come un'operazione oggettivamente molto complessa e ciò anche in considerazione dell'incertezza del relativo quadro di riferimento. Ne deriva che non è possibile determinare ex ante le conseguenze finanziarie dell'intero processo, a causa dell'elevato numero di variabili che dovranno essere definite in sede di redazione dei decreti legislativi di attuazione".
Simili incertezze vengono poi manifestate anche per ciò che riguarda la definizione e classificazione delle funzioni delle Regioni e degli Enti locali.
In materia, ricordo solo che la delega prevede che i livelli essenziali della prestazioni erogate dalle Regioni (c.d. Lep), principalmente sanità, istruzione ed assistenza, e le funzioni fondamentali degli Enti locali siano finanziati integralmente attraverso il fabbisogno standard, mentre le altre funzioni, sempre regionali e degli enti locali, trovino soddisfazione finanziaria con utilizzo di entrate proprie assistite da un fondo di perequazione, fondo che dovrebbe eliminare le disuguaglianze territoriali.
In relazione a ciò la Ruef ricorda che "non risultano agevolmente individuabili le specifiche attività amministrative da ricondurre alle funzioni di competenza delle regioni e degli enti locali, né è chiaro quali attività amministrative siano da ricondurre ai livelli essenziali delle prestazioni per le regioni e quali alle funzioni fondamentali per gli enti locali".
Più in particolare, secondo la Relazione l'individuazione dei Lep è "una scelta di definizione degli standard minimi di servizio che, oltre agli aspetti tecnici, potrà riflettere anche più ampi obiettivi di politica economica. Tale valutazione non potrà che aver luogo in sede di confronto tra i rappresentanti dei livelli istituzionali interessati all'attuazione del federalismo fiscale".
Ad oggi quindi se ne sa poco o nulla. La delega non detta alcun principio per la definizione di tali livelli, in quanto essi non saranno oggetto di un decreto attuativo ma dovranno essere definiti con legge dello Stato.
In merito, invece, alla classificazione e quantificazione dei trasferimenti erariali, la delega richiede che la quantificazione dei fabbisogni di spesa per i Lep e per le funzioni fondamentali avvenga con riferimento ai costi standard per la loro erogazione.
Per valutare tali costi sarebbe indispensabile conoscere, quantomeno, la spesa storica per ciascuna funzione, le cui informazioni finanziarie di base dovrebbero essere rilevate dai bilanci dei diversi soggetti istituzionali.
A questo proposito, però, la Ruef ci ricorda che "i bilanci regionali risultano fortemente disomogenei e scarsamente confrontabili, mentre i bilanci degli enti locali sono classificati secondo uno schema omogeneo e sono oggetto di rilevazione da parte del ministero dell'Interno. Anche per questi ultimi, in ogni caso, si rileva una certa disomogeneità delle metodologie contabili adottate, per ciò che, in particolare, attiene l'applicazione della classificazione funzionale e il diversificato ricorso alle esternalizzazioni dei servizi".
La delega prevede, quindi, che ai fini della determinazione del fabbisogno finanziario si tenga conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati, o svolti in forma associata, per la rilevante incidenza che tale fenomeno ha presso gli enti territoriali.
Ma, "un elemento di criticità deriva dal fatto che non sono disponibili bilanci consolidati degli enti locali e delle loro società ed aziende partecipate, per cui non risulta possibile definire con precisione il livello di spesa pubblica degli enti territoriali. Inoltre, nei casi in cui gli enti hanno esternalizzato anche le fonti di finanziamento, i bilanci sono ancor meno rappresentativi delle attività svolte a livello locale".
Insomma, le mie preoccupazioni hanno avuto la riprova ufficiale che la legge emanata si è scontrata, e si scontrerà, con un quadro di riferimento quantitativo e qualitativo della variabili in campo altamente critico.
Sarebbe stato utile procedere, ai fini dell'approvazione di un disegno di legge in maniera cosciente e responsabile, ad un'accurata, seria quanto necessaria valutazione ex ante dei dati numerici e delle relazioni tra le varie funzioni pubbliche, ai diversi livelli di governo, coinvolte nel processo riformatore.
Ma così non è stato. Alea iacta est, sentenziavano i latini.
A questo punto, l'auspicio è che le forze politiche in campo, nazionali e locali, sappiano fare bene i conti con i costi di una riforma che, se errata, produrrà effetti catastrofici sulla tenuta sociale dell'intero Paese.
Insomma, è quanto mai urgente assurgere a ruoli di responsabilità politica ed amministrativa ai vari livelli per correggere, in via attuativa, un percorso di riforma che, allo stato, dovrebbe seriamente preoccupare.
La bussola di orientamento dovrebbe essere il bene comune e la sua concreta realizzabilità.
Altrimenti, i nostri figli ci accuseranno di averli abbandonati.

PUBBLICATO 11/05/2009

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