Una settimana diversa, “santa”.
sac. Sergio Groccia
Abbiamo seguito il Rabbì nei quaranta giorni della quaresima, cercando di convertire il nostro cuore, sforzandoci di cambiare l'immagine mediamente orribile di Dio che portiamo nel cuore. Siamo pronti ormai, alla fine di questo percorso, a sederci e guardare lo scandaloso evento della croce. Come il giovinetto citato da Marco nella sua Passione (14, 51), scandalizzati e inorriditi siamo chiamati a seguire il Maestro nel suo dono d'amore. L'ultimo. Il più grande. La settimana che oggi iniziamo, così grande, così importante da essere chiamata santa, è il gioiello dell'anno liturgico, una perla troppo spesso dimenticata da noi cristiani, a vantaggio di feste forse più sentimentali ma intrise di riletture consumistiche (come il natale). Qui no. Un morto in croce non si vende, non suscita sentimenti di bontà. Anzi: se ne parla poco e male di questo Dio che sale sulla croce e muore. Rimane difficile da capire il mistero di una tomba vuota e del significato profondo della parola "resurrezione". La Chiesa si ferma stupita a meditare sulla misura dell'amore di Dio. Durante la settimana santa ci si ferma ad ammirare il volto di Dio. Fermi, zitti, Dio si prepara a morire, Cristo celebra la sua presenza nell'ultima Pasqua, la nuova, è arrestato, condannato, ucciso, sepolto, vive. In questa preziosa settimana, qualunque cosa faremo, in ufficio, a scuola, a casa, potremo fermarci, socchiudere gli occhi e pensare a Cristo, ai suoi sentimenti, alla sua angoscia, alla sua bruciante passione, al suo desiderio. Ora per ora assisteremo, con gli occhi della fede, allo spettacolo di un Dio che muore per amore. E questa settimana inizia la domenica delle Palme, gravida di ricordi da bambino, di rami di ulivo addobbati con caramelle , i più fortunati con le uova di cioccolato,da sventolare in alto per manifestare la gioia dell'incontro con Dio. Ironia dell'incoerenza umana: le stesse voci, le stesse braccia, non più con le palme aperte verso il cielo, ma con i pugni serrati, trasformeranno la loro gioia per il Messia, figlio di David, in un'invocazione terrificante, in un'agghiacciante grido di morte: "Crocifiggilo!". Uomo sciocco, come sciocchi e tardi nel credere siamo noi, ancora inconsapevoli del tesoro che abbiamo tra le mani, così disposti, anche noi a trasformare la nostra preghiera di benedizione in invocazione di morte! Eppure da quella croce pende il destino dell'uomo, con quel sangue è firmato il patto dell'Amicizia eterna di Dio, in quel pane è conservato il Cuore di Colui che desidera ardentemente di mangiare la Pasqua con noi. Questo è il nostro Dio, un Dio amante, un Dio ferito, un Dio che fa dell'amore l'unica misura, l'ultima ragione, la sola speranza. Un Dio che accetta di restare nudo, cioè leggibile, incontrabile, palese, evidente perché ogni uomo la smetta di costruirsi improbabili devozioni, scure visioni di Dio. Ecco la fede, la grande fede, che può sgorgare nel cuore di ciascuno di noi: davanti all'uomo crocifisso, davanti alla sconfitta più assurda, davanti alla delusione di un sogno massacrato, riconoscere la potenza del Dio immortale. |
PUBBLICATO 04/04/2009
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