OPINIONE Letto 3124  |    Stampa articolo

“Quando moriremo andremo tutti in Paradiso, perché l’Inferno lo stiamo già vivendo”.

Francesca Belsito
Foto © Acri In Rete
Fabrizio tra le fiamme di questo inferno se n’è andato, emarginato da una società viziosa e irrisa di perbenismo, che dinanzi ai problemi e al disagio non fa che ostentare la sua solita indifferenza. La morte di Fabrizio, sconvolgente a dir poco, grave e intrisa di disumana crudeltà, tuttavia, non ha provocato lo scalpore e, soprattutto, la reazione indignata dei cittadini acresi.
La popolazione, minuscolo seppure importante frammento della società di oggi, ancora una volta si è limitata a guardare da lontano la realtà, impassibile e forse volutamente ignava. Fabrizio è morto, tradito da quelle stesse persone con cui trascorreva le sue serate, alla ricerca di uno sballo o semplicemente di un modo per evadere dalla pesantezza soffocante di un mondo sempre più cupo, sempre più sordo alle richieste d’aiuto. Fabrizio è morto, di una morte atroce, lacerante, guardando negli occhi chi gli ha fatto così male. Nulla è più doloroso del lutto, eppure ad Acri quasi nessuno ha pianto, quasi nessuno si è interrogato, guardato intorno, ha cercato di capire il perché di un atto del genere. Cosa può aver spinto due giovani ad agire in maniera così spropositata, cattiva? Probabilmente, i due ragazzi erano precipitati in una situazione troppo più grande di loro, non hanno potuto tirarsi indietro di fronte ad un compito così ingrato. E questo cambia tutto. Perché quella dannata notte di venerdì non c’è stata una sola vittima. Il filosofo Aristotele diceva che l’uomo nasce predisposto alla virtù, ma per essere realmente virtuoso deve essere educato, possedere una mente pensante. È chiaro così che, gli uccisori e l’ucciso sono accomunati da uno stesso triste destino, una vita segnata dal rifiuto di una società presa dalle sue ambizioni per potersi permettere di aiutare i giovani in difficoltà, senza una famiglia in grado di guidarli; quegli stessi giovani che sono in giro ogni sera, apparentemente felici, con le loro sigarette, l’alcool, le sostanze stupefacenti, alla ricerca di una via d’uscita da un mondo sporco che non li vuole. Il disagio sociale: ecco cosa ha ucciso veramente Fabrizio! Ecco cosa tormenta i ragazzi di oggi! E la gente resta a guardare. Il giorno dopo la morte di Fabrizio i cittadini acresi discutevano frenetici dell’accaduto. Dalle loro bocche trapelava un senso di forte soddisfazione: “Finalmente ci siamo liberati di quello lì!” Come osa la gente parlare così di una persona, di un essere umano, suscettibile di errori come tutti, strappato dalla sua vita con violenza? Quanti altri ragazzi dovranno morire prima che qualcuno si accorga che la nostra società è un edificio ormai in rovina? Quanto altro sangue, quante altre lacrime dovranno essere versate prima che qualcuno si decida a portare aiuto ai deboli e agli emarginati? La passività e l’indifferenza sono i mali peggiori che affliggono l’uomo. Perché dopo la morte di un giovane ragazzo tutta la cittadina, dopo aver pronunciato la sua soddisfatta e sarcastica sentenza, è ritornata a parlare di futilità e pettegolezzi? Perché non si preoccupa minimamente di quanto il problema sia grave e non pensa a come poter cambiare le cose in meglio? Ma noi non ci stiamo ad adeguarci all’opinione pubblica e alla sua ignavia; non possiamo restare a guardare mentre i nostri coetanei vengono inghiottiti in un tunnel senza ritorno per colpa di una società malata. Ed è così tanta la nostra rabbia in questo momento da non poter essere contenuta in un foglio bianco.
La nostra non è una rabbia istintiva, suscitata dall’orrore accaduto di recente, ma è un sentimento troppo a lungo represso, una vena di rancore verso questo mondo in cui viviamo e che ci classifica in base alla provenienza sociale, un mondo che vorremmo disperatamente cambiare. Abbiamo paura, paura persino di vivere in un luogo che non è sicuro e che forse per noi non lo sarà più.
Fino a quando questo mondo rimarrà sordo e impassibile dinanzi a infelici ma dignitose richieste d’aiuto di giovani smarriti, dinanzi alle loro voci bisbigliate, sussurrate per paura dell’ennesimo rifiuto, non ci saranno più sicurezze o certezze. Allora mettiamo da parte l’indifferenza e che altri ragazzi non debbano vedere con i loro occhi tristi il fuoco della vita che si spegne. Non lasciamo che la morte di Fabrizio sia stata vana.

PUBBLICATO 03/04/2009

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