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Contemporaneo.

Angelo Sposato
Foto © Acri In Rete
La nostra città sta vivendo una completa assenza si sé. E’ vacua, vacante, espropriata della sua storia ed amputata della sua contemporaneità potenziale. Acri è una città che, a differenza di altri piccoli centri, possiede una sua letteratura, un suo percorso letterario sfilacciato per molti decenni. Si veda Padula, Arena, Iulia, Autieri, il mio preferito Filippo Greco, Franco Curto.
Eppure, questa città non viene più raccontata. Si è dileguata sia dal racconto quotidiano che da quello più astratto, quindi artistico e letterario e la sua immagine viene dipinta in maniera ciarliera.
Riappropriandomi della mia cittadinanza acrese, dopo tanti anni trascorsi a Roma e completamente distaccati dall’adolescenza vissuta ad Acri e dalla sua realtà e rileggendo il bellissimo libro “UN WEEK END POST-MODERNO” di Pier Vittorio Tondelli, trovo che qualche anno fa, nella nostra città, fossero molto diffuse alcune connotazioni descritte dallo scrittore emiliano nei cambiamenti sociali, culturali e di costume espressi negli anni ottanta.
Acri è stata a suo modo, con una manifestazione meno articolata, una città post-moderna, quindi rivolta ad un processo di mutamento, di deviazione rispetto a qualcosa di più vecchio e cencioso. Oggi, però, bisogna definirsi con la contemporaneità o, comunque, cercare di determinarsi verso una direzione più futuribile per il suo contesto storico, sociale e culturale e la nostra città, invece, sembra scomparsa da qualsiasi trama indirizzata verso il contemporaneo. Non esistono un racconto od un’eresia che invitino al futuro, al contrario vige un esercizio di attorcigliamento, una forma di barricata intellettuale e culturale piazzata contro qualsiasi incursione di modi e mondi diversi.
Ad Acri esistono molti mezzi di comunicazione, tra cui un museo, una fondazione, siti internet, scuole, un mensile di cultura, una radio, una televisione, associazioni, ed un giornalismo locale, anche se quest’ultimo, insieme ai siti, ha assunto un carattere tedioso e funge troppo da bacheca e pulpito per i politici. Nonostante ciò, la città è completamente svanita, resa superficiale nella stima della sua capacità ad essere ed è diventata cattiva, per niente partecipe a se stessa. Tutti i mezzi di comunicazione non riescono a costituire una piattaforma in cui poter stabilire basi e direzioni, se non quelle a favore del circolo vizioso della politica. La mia deformazione “poetesca” mi induce sempre a cercare oltre una messa in piazza chiacchierona ed alquanto patetica e violenta nel travalicare verità. Trovo insabbiate molte significanti e significati dell’esistenza di Acri, non esistono codici che portino altrove da questa desolazione, in cui è difficoltoso tessere qualsiasi altro tessuto che non sia l’ignoranza. Talvolta, ci si meraviglia dell’integralismo religioso di tante nazioni e della de-formazione culturale dei suoi popoli, ma ci siamo chiesti quante similitudini ci sono con noi? Quanti retaggi e quante informazioni deformanti vengono inculcate nei cittadini acresi e del sud in generale? Quanto siamo arretrati nell’approccio al mondo, alle sue novità? Quello che più mi spaventa non è l’esercizio di chiusura dei politici per meglio gestire, creando più clienti che rompiscatole, ma l’impostazione polverosa ed anziana di molti miei coetanei, il loro proseguire su una strada di involuzione. Può sembrare assurdo, ma il paragone ci sta tutto, perché se in paesi lontani si usa la religione in maniera dissacrata a propria immagine per opprimere il popolo, dalle nostre parti si usa il bisogno e le necessità della gente per creare adepti del proprio tempio, portando la politica e la cultura ad una fatwa contro tutto ciò che è sovversivo o almeno diverso.

PUBBLICATO 12/03/2009

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