Il Senso di una Direzione : l’Utopia del Cambiamento ed il suo contrario.
Angela Maria Spina
Fu per me imprescindibile chiedermi se vi fosse una corrispondenza logica e computabile tra l'ordine e le cose da riordinare, configurando metafore sensibili della loro "minimalità". Credevo allora ingenuamente - lo ammetto - che fosse sufficiente riconoscere il problema, analizzarlo per poterne districare i passaggi e renderlo risolvibile secondo il principio della "trasformazione" e del "cambiamento". Mi fu utile ricorrere, non di rado, alla lisys a quella risposta cioè che permette di uscire dall'angoscia di certe scelte "utili" e "giuste" - specie in certe intricate circostanze - con la consolazione contrita che i conti potevano tornare solo a conclusione di uno "spettacolo" dalle insanabili antinomie. Pochi lo ricordano e in molti sono contenti dell'oblio forzoso, ma chi scrive fu l'artefice, nell'esercizio delle proprie funzioni, della nascita della Fondazione Padula e come tale con causa della trasformazione del ventennale Centro Studi Padula, in Fondazione. Era il 4.4.98 quando alla stipula dell'atto costitutivo della Fondazione, in un intervento pubblico, ebbi modo di richiamare valori ed idealità, immaginate per la nascente Fondazione, da profondere - ci si attendeva - in una concreta valorizzazione dell'offerta culturale precipuamente intesa come strumento di Ideazione e Stimolazione alla Creatività. Ma in fondo l'Arte Politica non è che l'applicazione di un Teorema Inconfutabile, lo stesso che comporta la perfetta razionalizzazione di certi conflitti, come quello tra proprio ed improprio,chesi assumono a corollario e spesso a più nitida vocazione alla sineddoche. L'assioma geometrizzante, che in questo caso non ammette particolarità, induce taluni con me, a credere che alberghino nella fondazione -, certe lobby culturali provinciali - iote, che dettano le regole del presenzialismo ad ogni costo, nel delirio sbrigativo di riuscire a rappresentare oltre che se stessi anche il tutto. Vizio etimologicamente cattolico quello di possedere la velleità di una ragione valida, che conduce naturalmente a pratiche squisitamente totalitarie e che sia pure senza alcuna intenzionalità violenta o autoritaria, rappresentano - come nello stato attuale - pur sempre una limitazione all'esercizio dell'alternanza e della altrui partecipazione, visto che da undici anni esatti - ad esempio - non se ne rinnovano le cariche rappresentative.Una riduzione delle ragioni e della necessità che certi fenomeni siano riconducibili a un'unica Ragione - la propria - che convenientemente è trasformata nella ragione di tutti. Ho poi scoperto nel tempo che tra i realia ovvero le "cose" che sono e quelle che la tecnèpolitikèpromette di amministrare, esiste - purtroppo - una frattura insanabile, la stessa che non concilia la questione utilità della fondazione con la necessità di una messa in discussione delle proprie forme operative. Dunque il farsi parte nel campo polare della politica culturale cittadina, ci appare poco più di un'etichetta pubblicitaria in bella mostra, dove spesso il gioco della simulazione è catturato in un sistema concettualmente povero di postazioni tattiche e di parole di generica e impressionistica allusività, che stancamente ripropongono il contrito rituale di saluti, ringraziamenti ammiccanti e dei blablabla L'assunto teorico predica in queste circostanze di rappresentare la fiducia della propria rappresentatività, come delega al "più capace" e "meritevole", senza contemplazione del difetto di percezione tra lo scarto di Legittimazione e Rappresentazione sinedie . Il fatto è che siamo stanchi dei soliti figuranti, e se pure riteniamo utile l'occasione di varia mondanità, avvertiamo urgente porre soluzione alla più complessa Questione Culturale Cittadina, che appare asfissiata spesso dalla propria auto referenzialità, intenta come appare a risolvere non solo problemi in chiave di elevazione delle offerte come occasioni culturali; ma che ci appare assolutamente incapace di definire destinazioni culturali innovative, e manifesta un'impropriainsicurezza circa l'audace scelta di dovere uscire dal seminato dei non addetti ai lavori, poiché - con sommo sbigottimento - è pur sempre inadeguata a comunicare con la città e il suo universo. A parte qualche rara eccezione, del dispendio di contenuti, la relativa vivacità di questa istituzione, infatti, non è avvertita come patrimonio collettivo, e la città sembra restarne distante, si ha come l'impressione di assistere alle note sia pur melodiose di un assolo malinconico, di un vecchio strumento a corda, che resta suo malgrado orfano di pubblico, giacché greve appare il dialogo con la città e tutti i suoi cittadini, ma soprattutto con la stessa educazione dei giovani. Ora, sia pure nel novero intricato di molteplici difficoltà, sarebbe opportuno permettere alle attività di tali istituzioni ed enti culturali cittadini, di concorrere a elaborare priorità altre, e non estemporanee dal vuoto patrocinio, in favore di percorsi educativi sistemici, in grado di sperimentare e innovare la pianificazione della stessa offerta culturale acrese. Le grandi istituzioni culturali cittadine, dovrebbero dunque provocatoriamente introdurre modifiche statutarie, traducibili in campagne di civiltà tese a far ripartire attraverso una azione coordinata e permanente, una straordinaria e massiccia campagna di diffusione e promozione culturale, a largo raggio, svolta oltre che per settori, anche in favore di soggetti esposti al clima di generale regresso che domina in questi anni l'intero paese ivi compreso la nostra città. Contro ogni evidenza della realtà, c'è la tentazione forte di contrapporre alla nuova "normalità" anche dell'agire politico, una forma sobria e forse un po' meno reticente del fare. |
PUBBLICATO 27/01/2009
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