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La lacerante e larvata crisi del PD.

Massimo Conocchia
Foto © Acri In Rete
Ciò a cui stiamo assistendo in queste settimane non è altro che l’appalesarsi di una crisi annunciata di un partito in verità mai nato e che si trova, oggi, a fare i conti con uno scollamento progressivo, legato al mancato radicamento sul territorio, che era, invece, un punto di forza dei partiti storici della Sinistra, PD compreso.
L’illusione di potere dare vita ad un nuovo soggetto politico con una mera operazione di “copia e incolla” di due forze preesistenti non è riuscita e non poteva riuscire. La crisi del Partito Democratico si manifesta ogni giorno di più, e sotto forme drammatiche di dissenso interno. Sotto attacco è ormai la linea politica di Veltroni, giudicata perdente, anche alla luce delle recenti Elezioni amministrative in Sicilia, che hanno visto il tracollo e la disfatta di un PD ridotto a percentuali bassissime, senza contare la debacle romana, così carica di significati negativi. Crisi di consenso, e soprattutto crisi di linea politica: la polemica di stampo antiberlusconiano non paga, e lo hanno dimostrato vari appuntamenti elettorali.
Le preannunciate proteste autunnali non impressionano e richiamano alla mente i versi di Ungaretti (si sta come, d’autunno, sugli alberi, le foglie!). Sicuramente non intaccheranno i consensi verso un Governo allo stato forte e tutt’altro che in crisi, nonostante gli scandalosi provvedimenti in materia di giustizia. La crisi del PD ha ragioni profonde, che non possono essere sottaciute. Alle elezioni politiche è riuscito a mobilitare il massimo dei consensi che poteva, ottenendo come risultato una sconfitta che non può essere archiviata come un incidente di percorso.
Il PD paga oggi un pericoloso paradosso, tutto italiano: nato dagli strati sociali “produttivi” ha finito per perdere contatto con tutto il mondo del lavoro. Incapace di dare voce alle preoccupazioni di quella parte produttiva della popolazione, ha perso consenso nelle aree economicamente più forti del paese a vantaggio della Destra. Parallelamente, non ha avuto il coraggio di denunciare le debolezze di un sistema, legate essenzialmente ad una Pubblica Amministrazione troppo spesso carente per inadempienze e scarsa produttività. Così come, in tema di giustizia non ci si può ergere a difesa di un sistema che, pur avendo un numero impressionante di magistrati per abitanti, ha in arretrato una mole enorme di procedimenti.
La sfiducia dei cittadini è tale che, per i più abbienti, si risolve nel sempre più frequente ricorso agli arbitrati e, per i meno fortunati, in un rancore profondo verso le istituzioni e verso la democrazia che le governa: ci sono cause irrisolte da oltre 23 anni! Bisogna avere il coraggio di denunciare le carenze di un sistema, senza per questo correre il rischio di passare dalla parte di Berlusconi. Uno dei segreti del successo del Cavaliere risiede proprio nel fatto di denunciare mali atavici, usandoli come clava per la difesa di interessi personali e per attaccare quelli che ai suoi occhi appaiono come persecutori.
Non bastano una buona comunicazione a far votare la gente per un partito che non riconosce come portatore dei propri interessi, che non mostra una vicinanza e una frequentazione dei temi che gli sono a cuore, che non dà voce al dramma che la investe. Un’altra ragione, non secondaria, della crisi profonda del PD è da ricercarsi in una classe dirigente incapace di rinnovamento e che si richiama a vecchie logiche e meccanismi logori pur di impedire un ricambio, che avverte come una minaccia piuttosto che come una risorsa. Massimo D’Alema in una recente intervista alla festa dell’Unità si è definito un simpatizzante del PD, non potendosi definire un iscritto, visto che questa possibilità non c’è ancora.
E’ facilmente immaginabile come un partito senza un forte radicamento sul territorio finisca per apparire come un soggetto astratto e lontano dalla gente e dai suoi bisogni. Valter Veltroni e il suo staff appaiono oggi, agli occhi disincantati di un libero pensatore come il sottoscritto, come un gruppo di macchinisti di un treno che ha davanti a se un percorso senza una meta definita. L’incertezza è tale che i viaggiatori più attenti cominciano a scendere nelle fermate intermedie con il serio rischio che al capolinea il treno abbia perso buona parte dei suoi viaggiatori.

PUBBLICATO 05/07/2008

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