La crisi dei partiti e quella della politica a metà legislatura.
Piero Cirino
Innanzitutto risulta di tutta evidenza che la dimensione squisitamente individuale ha fatto premio su quella del partito. Questa è andata letteralmente in frantumi; quella ha messo in evidenza la crisi della politica, perlomeno di una concezione secondo cui determinati processi dovevano avvenire e dovevano essere diretti dai partiti. In ogni caso queste dinamiche dovevano contemplare passaggi determinati da ragionamenti che nella politica trovano, o trovavano, il loro fondamento. In questo senso, il consiglio e la giunta comunali rappresentano la cartina di tornasole. Nelle assise municipali, in due anni e mezzo ben nove consiglieri su venti, cioè quasi la metà, hanno cambiato casacca, con buona pace del patto stipulato con elettori e partiti in campagna elettorale. C'è stato anche chi ha fatto il bis, lasciando il partito per il quale aveva abbandonato quello nella cui lista era stato eletto. Se è vero che in consiglio ci va l'eletto e non il partito che lo ha fatto eleggere, è altrettanto vero che, così come impietosamente decretano i numeri, certi passaggi sono stati accompagnati quantomeno da una buona dose di disinvoltura. Così gli elettori, a un certo punto, si sono ritrovati in consiglio comunale un gruppo, quello dei Verdi, tra i più numerosi, anche se quel partito non aveva nemmeno partecipato alla competizione elettorale. Certe cose avvenivano anche in passato, ma certo non con questa frequenza. Con le motivazioni che i protagonisti hanno addotto poi si potrebbe addirittura scrivere un saggio sul “ridicolo”. Che la politica non sia più di casa, soprattutto nella maggioranza di centrosinistra, risulta evidente anche nei passaggi che hanno contraddistinto una delle più lunghe e fantomatiche verifiche di giunta. Solitamente si usa questa pratica per avvicendamenti in organico che, dati storici alla mano, risultano fisiologici in un quinquennio. E' tutto normale, purché si abbia la decenza di addurre motivazioni politiche, cioè di dare all'operazione una patina di logica che tutti sanno odorare di tartufo, ma che tutti, o quasi, fingono di accettare. La verifica dell'operato della giunta, richiesta in molte circostanze da chi aveva l'unico obiettivo di impallinare qualche assessore, magari anche il proprio, è durata oltre sei mesi e si è conclusa senza che quasi nessuno degli assessori sia stato messo in grado di difendersi in ragione di quanto è riuscito a fare, senza che cioè sia stato “verificato”. Non è un caso che i tre sostituiti abbiano poi abbandonato i loro partiti. Oliva, Coschignano e Gabriele sono stati messi alla porta per ragioni che non hanno nulla a che vedere con quanto hanno fatto nella loro qualità di assessori. Nella tanto vituperata Prima Repubblica, di cui sentono nostalgia solo i “nostalgici”, si aveva comunque l'accortezza di dar vita a ragionamenti capziosi che potevano mettere in difficoltà anche chi era costretto a lasciare il posto. Oggi Oliva, Coschignano e Gabriele sono nell'immaginario collettivo tre “Signori”, giubilati perché non più in grado di risultare funzionali a determinate logiche che un tempo si definivano di partito, ma che oggi rappresentano una parte ancora più esigua. |
PUBBLICATO 20/01/2008
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