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“E' meglio morire in piedi che vivere in ginocchio."

Giacomo Cozzolino
Foto © Acri In Rete
Non è facile impugnare la penna per parlare di un fenomeno deprecabile e descrivere le degenerazioni a cui si può arrivare nel tentativo di fare informazione distorta e di parte.
Chi scrive fa politica attiva dal 1989 ed è stato protagonista, con alterne vicende, degli ultimi 20 anni di storia patria. Ho vissuto insieme ad altri la fine dei partiti storici del novecento, la degenerazione e la fine di un sistema con Tangentopoli, la discesa in campo del Cavaliere, la politica che si mescola con gli affari, la regionalizzazione imposta dalla Lega (l’uomo del Sud diverso da quello del Nord?), la salute in mano alle assicurazioni e tant’altro.
In questo complesso e variegato panorama ho cercato di essere sempre me stesso, con la mia coerenza, portata a volta fino alle conseguenze più estreme, assumendomi in ogni circostanza la responsabilità delle mie azioni, convinto come sono che avere la schiena dritta sia una delle caratteristiche che pagano maggiormente in politica, non nell’immediato ma nell’immagine che ognuno di noi lascerà.
L’ampia perifrasi era necessaria per sottolineare l’importanza di avere un codice etico che dovrebbe governare ogni nostra azione. Questo codice oggi sembra non essere più necessario per cui, a seconda delle convenienze, si può assumere un atteggiamento diverso. Il riferimento è ad un certo modo di intendere il giornalismo e il dovere di cronaca, che risponde non più alla necessità di informare ma all’esigenza di accontentare questo o quel committente.
Non vorrei cadere nell’errore opposto e passare per un generalizzatore. Mi rendo conto che la maggior parte dei giornalisti è gente che cerca di assolvere al diritto di in formare nella maniera più corretta possibile e sono cosciente che ciò non può voler dire essere asettici. Sono d’accordo con Sergio Zavoli quando afferma che il concetto di verità è un qualcosa a cui ci si può solo avvicinare. Quando, però, si distorce ogni fenomeno per seguire la linea e la condotta imposta da altri - e a questa linea si fa convergere ogni azione - siamo al di là di ogni limite.
Dopo l’ultimo consiglio comunale c’è stato chi si è preso il lusso di assegnare delle pagelle ad ognuno di noi (o meglio solo ad alcuni!). La cosa in sé è perfettamente legittima, così come sacrosanto è il diritto di critica. Ciò che risulta atipico è dare le pagelle senza sentire l’esigenza prioritaria di fare chiarezza al proprio interno. Ognuno di noi, come già detto, ha la sua storia, le sue glorie e le sua bassezze. Quando si assegnano dei voti bisognerebbe avere il coraggio di iniziare da sé stessi. Che voto si potrebbe dare a chi intende il giornalismo come strumento di attacco politico per conto terzi, esprimendo in ogni scritto un attacco preciso su commissione, ieri per un committente, oggi per uno completamente diverso? Che valutazione salterebbe fuori per chi si limita ad assegnare otto pagelle dimenticando, volutamente gli altri? Dov’era il giornalista in questione nella passata legislatura quando chi amministrava si è limitato a qualche operazione di facciata, tralasciando problemi importanti, che oggi, finalmente, trovano soluzione?
Se dovessi decidere di assegnare un voto, non me verrebbe che uno: NON CLASSIFICATO, perché anche lo zero presupporrebbe una valutazione, che sarebbe persino nobilitante esprimere. “E’ meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”: è quanto Hemingway fa dire a Pilar (uno dei protagonisti di “Per chi suona la campana”) e mai espressione mi è sembrata più calzante come nel caso in questione.

PUBBLICATO 2/12/2007

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