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Feraudo, Acri e Tripodi a report.

Roberto Saporito
Foto © Acri In Rete
Un ennesimo ed ampio spaccato della politica calabrese, non quella sana purtroppo, è andato in onda domenica sera su Raitre all'interno di Report. "Lo stato delle cose", questo il titolo dell'argomento di cui si è occupata la trasmissione.
La giornalista Giovanna Boursier circa venti giorni fa si è recata in Calabria per ficcare il naso negli intrecci tra politica, corruzione e concussione contattando onorevoli rinviati a giudizio ed indagati. La Gabanelli lancia il primo servizio sulla Calabria ed il primo ad apparire è Pietro Fuda, senatore del Pdm, al quale la Boursier fa notare il forte impegno per la Sogas nonostante il suo ruolo di membro della commissione Finanze del Senato.
Fuda risponde secco: "che senso ha che io faccia il senatore e non pensi ai problemi del territorio quando questo ha bisogno di un aeroporto. Mi sono accorto che in questo ruolo potevo dare una mano perché l'aeroporto potesse crescere più rapidamente."
La Gabanelli annuncia il viaggio in Calabria della Boursier e "lo stato delle cose" si fa interessante ed inquietante. Si comincia con una dipendente regionale che ha denunciato di essere stata costretta a versare il 15% della sua busta paga al consigliere regionale Acri. La teste, regolarmente ripresa, dice che "questa è un'imposizione dalla quale non si può prescindere se si vuole lavorare. All'inizio effettuavo un bonifico poi versavo in contanti."
Contattato telefonicamente Acri ribatte: " la Marsili dice delle assurdità, dice una infamia. Ma parlerò solo quando sarà conclusa l'indagine."
Tocca poi a Adamo, Tripodi e Feraudo. "Per quanto riguarda il mio caso è una grande provocazione da regime pre-fascista" dice Adamo che ricorda chi è la Marsili: "è la moglie del giudice che ha arrestato il capogruppo dei Ds Pacenza."
"Della somma che mi veniva pagata dalla Regione io dovevo versare una parte a Feraudo, circa 600 euro", dice, invece, un ex collaboratore, in forma anonima, ed ora accusatore del dipietrista che respinge le accuse pesanti e dice : " ritengo che ad un consigliere regionale non può appartenere questo modo di operare perché altrimenti sarebbe la fine delle istituzioni.
Mi pare che non sono emersi elementi che possano colpirmi e mi chiedo perché non si è indagato anche sui motivi del licenziamento.
"
"Per quanto ci riguarda il Pdci - dice Tripodi - si regge con i contributi dei propri eletti e di chi ha incarichi. Io guadagno intorno ai 12.000 euro. e verso al partito 4.500 euro. Ma mi preme dire che le persone della struttura le paga la Regione ma sono persone di fiducia."
L'attenzione si sposta, infine, sull'inchiesta Why Not e sugli altri politici indagati. Ma questa è storia recente e ben conosciuta.

PUBBLICATO 23/10/2007

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