Le riflessioni che seguono la citazione, sono scaturite alla lettura, sul “Quotidiano
della Calabria” del giovedì 9 agosto 2007 (pag. 9 in intero), di un
eccellente articolo di
Vito Teti (professore di Etnologia all’Unical):
Fuochi in Calabria. Metafora dell’autodistruzione.
Cosa pensare di queste sue affermazioni? Considerato il contesto generale della
nostra regione, questi incendi possono essere considerati, effettivamente, come
metafora di vari comportamenti globalmente autodistruttivi?
Trattando degli incendi e dei piromani, dopo aver citato Corrado Alvaro e Fortunato
Seminara, Vito Teti scrive:
“Vince, in questi giorni, questo fuoco devastante, che non lascia
respiro e soffoca, che non concede tregua e speranza. Questo fuoco, volutamente
alimentato, è la metafora di una Calabria autodistruttiva, che non riesce
nemmeno, davvero, ad amare i propri figli e le proprie risorse, che sa fare
male e fa male anche a sè stessa. È la Calabria notturna, ombrosa,
sotterranea quella che trionfa con questi fuochi che non producono luce e calora
vitale, ma fumo, caligine, confusione, buio, notte. - Questo fuoco fotografa
una Calabria angusta, chiusa, dove non sempre è capace distinguere, dove
tutti si ostacolano e si fanno una guerra quotidiana, incomprensibile. Una Calabria
depressa e melanconica, che come il melanconico Saturno, divora i propri figli.
Persefone sconfigge Demetra. Le tenebre non fanno sorgere la Luce. Sembra una
perenne Settimana Santa di dolore e lutto e non si vede arrivare la Pasqua,
la Ressurrezione, L’Affruntata, l’Incontro. (...) Certo la politica
si è rivelata ancora inadeguata e non all’altezza dell’emergenza.
D’altronde non lo è nemmeno per l’ordinario. Gli incendi illuminano,
sinistramente, tutta l’incapacità progettuale dei nostri gruppi
dirigenti, politici e non, tutte le loro separatezze, le loro chiacchiere quotidiane.
La classe politica (la classe dirigente in genere, comprese élites economiche,
intellettuali, sindacali), degli ultimi quarant’anni non ha mai mostrato
di avere una visione generale dei problemi, non ha mai avuto un’idea, giusta
o sbagliata che sia, di Calabria, di tutela e salvaguardia dell’ambiente.
Mai un’idea di lavoro produttivo e concreto per i tanti giovani che continuano
a lasciare una terra, bella e amara, come diceva Repaci (...). - A dispetto
di incendiari e piromani, di una politica che non previene e non si pone problemi
di ordine generale, di gruppi di potere e di lobbies, nascosti e trasversali,
di una società civile che non c’è o non appare, di gruppi
dirigenti che non sanno progettare il futuro, di una deriva morale e antropologica,
restano, tornano e resistono le formiche che sempre cercano di riedificare,
riparando agli sconvolgimenti della natura e degli uomini. (...)”
... Siamo certamente contenti - la grande maggioranza di noi almeno
- quando, in giro per la nostra ancora bella ma per molti versi povera regione,
innanzi ad un bel paesaggio ci diciamo, dal fondo del cuore, semplicemente:
“Quanto c’è bello!” Così come ci fa piacere poter
constatare, malgrado tutto, la resistenza, la permanenza della nostra tradizionale
ospitalità, pronta e generosa. O ancora, quando vediamo che una città
è tranquilla e bentenuta. E tante altre cose che abbiamo avuto modo di
conoscere da noi: un bravo artigiano che riesce a vivere decentemente producendo
oggetti di qualità; una piccola impresa che può prosperare in
pace, senza subire minacce e danni; un ospedale che funziona utilmente e correttamente;
una scuola che va come si deve; un simpatico ristorante dove si mangi bene e
senza lasciarci le penne...
Contrariamente a questi ed a tanti altri aspetti della nostra terra, senz’altro
positivi, non può che farci soffrire vedere con quanta impotenza o forme
varie di apatia si stia subendo questa inaccettabile serie d’incendi
che stanno devastando i territori dove viviamo, dove noi vorremmo potere
ben vivere.
Ci fa molto soffrire la rassegnazione, ad oltranza, della cosiddetta società
civile. In che modo incredibilmente assurdo questa possa limitarsi, quasi supinamente,
ai soliti generici risentiti brontolii di disapprovazione; combinati con altri
altrettanto inefficaci o vaghi giudizi morali sull’abituale stato di decomposizione
della situazione politica, economica, sociale e ambientale della nostra viappiù
malcombinata Calabria.
Che si tratti degli innumerevoli degradi, d’ogni sorta, o d’altra
povera, ma peggio ancora se oramai ricca delinquenza di cui ben conosciamo ogni
più furbo accento, sono ancora relativamente pochi coloro che si sono
veramente svegliati. Che stanno cercando di organizzarsi per mettere un termine
all’Inaccettabile. E questo, nel 2007. Per ben fissare le date.
La rassegnazione predomina. Grazie, anche, ai sempre puntuali discorsi, “surrealisti”,
di tanti politici ed altri inenarrabili ignoranti. Ad una cospicua parte dei
responsabili di turno. Ancorati ai loro privilegi. Alle loro rispettive pseudoimportanze
personali. Tranne, beninteso, qualche anche rimarchevole eccezione. Fermo restando
che responsabili dell’insieme di queste cose, lo siamo un po’ tutti
noi, a ben considerare l’interazione tra tanti comportamenti e certe mentalità.
Una specie di pantano. Poco o nulla cambia. Se non, troppo spesso, in peggio.
Tanto da domandarsi come sia ancora possibile che, qui e là, qualche
rara oasi di bellezza e prosperità riesca a farla franca... A sopravvivere
in un mondo inguaiato fino al collo, anche, se non solamente, dai questi soliti
allucinati ed allucinanti “politici dell’emergenza”. Emergenza
da cui non si tira, poi, nessun insegnamento concreto e durevole. Emergenza
perpetua alla quale, con il solito collaudato apparato statico di frasi e discorsi
già pronti, questi vecchi e nuovi professionisti della ripetizione più
o meno redditizia, promettono di porre termine. E ci ridomandiamo allora, per
l’ennesima volta... con una certa inevitabile ingenuità: ma da
quanti decenni lo stanno promettono? E per quanti ancora? Dieci, venti, trenta,
cento... ?
In questa inumana rassegnazione al Peggio, ci fa molto soffrire dover riascoltare,
ancora e sempre, l’invariato deleterio ritornello sui “nostri mille
mali storici”... che spiegherebbero... che era e dunque è così
che si spiega che...
L’impressione, in queste condizioni senza apparente via d’uscita,
di scampo nei casi più gravi, è pervasa da un profondo pessimismo.
Come se fossimo incatenati in questa apparente fatalità. Sconfitti inelluttabilmente
a forza d’essere delusi. Come se oramai, dovessimo vivere privi di vera
libertà. Sotto una cappa di piombo che ci schiaccia sia il cuore che
la ragione.
Amen, allora, a questo sentimento generale di sconforto? Definitivamente condannati,
saremmo costretti a sopportare gli ennesimi commenti ed altre prediche che si
rinnovano come fossero inevitabili momenti di un comprovato rito consolatorio?
A forza d’impotenza davanti a tante nostre noncuranze e negligenze, la
società civile sarebbe definitivamente disarmata? Come se qualsiasi possibilità
di miglioramento collettivo abbia definitivamente abbandonato il mondo del possibile?
La litania, lo vediamo, è senza fine. I lamenti si ripetono come tante
inutili risposte alle sequenze d’immagini, stomachevoli, che subiamo come
una tortura.
Terra che sta diventando sempre più sterile. Più dura ed inospitale.
Là dove vive tanta brava gente, interiormente più o meno devastata
a forza di subire e sopportare prepotenze. Mentre regna la quasi impunità
per quei comportamenti anche più irrispettuosi. Mentre regnano tutte
queste delinquenze che prosperano sulle nostre miserie. Sulle miserie della
nostra Calabria, diventata perfetta incubatrice per gente imbestialità;
priva di qualsiasi cultura, sia antica che moderna; priva, cioè, di sensibilità,
d’intelligenza. In breve, del senso del giusto e del bello nella vita.
Violenza, abusi, corruzione dilagante, degradazioni, inquinamenti, droga...
E, per coronare il tutto, questi incendi gravissimi. Vecchie e nuove “banalità”
di un quotidiano dove dominano negligenza e pressapochismo. E tanto cinismo.
Che offre zero prospettive, o poco ci manca, a moltissimi giovani che vorrebbero
poter vivere onestamente. Come si deve e si può fare. Altrove...
Parole trite e ritrite che si ripetono anche nei media, quando questi si ridanno
ogni volta da fare, nei casi più eclatanti, con le loro “luci sull’attualità”.
Per riproporci, sugli stessi schermi lo stesso “dramma con presentatrice”
e “inviato speciale” che quasi sbadigliano a forza di averne viste
a dir basta. Messa in moto delle stesse frasi, dunque. Come se, ogni volta,
in questa specie di pianto nemmeno più efficace dal punto di vista solamente
consolatorio, qualcuno spingesse sempre sugli stessi tasti. Per accendere uno
o due stanchi proiettori sullo stesso funerale, regionale e statale.
Mancanza di Stato. Mancanza di lavoro. Mancaza di iniziative. E quindi, corruzione,
violenza, antichi e nuovi abusi. Senso di quasi completo abbandono... Da tutto
ciò, certa mentalità puntualmente piagnucolosa. E questa economia
assistita che ha in parte sostituito, ma in modo peggiore per quanto riguarda
i risultati sociali, le ancora assai recenti vaghe di emigrazione.
Tante mancanze dunque. Le nostre, e le altre. E, la peggiore fra tutte: la mancanza
di fiducia in noi stessi, che è diventata il corollario infelice di tutte
le altre. Ma, nello stesso tempo, uno dei postulati. Una delle condizioni. Sfiducia
a tal punto radicata che non si riesce a credere nemmeno in un’attività
da poter svolgere onestamente. Tanto si ha la certezza di muoversi in una specie
di spinaio senza limiti.
Quali ne siano i motivi, vecchi o recenti, resta che noi, la cosiddetta società
civile, siamo diventati a tal punto inesistenti a forza di dipendenze,
politiche ed altre, che anche sulle cose che dovremmo normalmente considerare
come le più umanamente importanti, non ci crediamo quasi più.
Come se noi e chi potrebbe o dovrebbe ascoltare, non esistessimo più.
In queste condizioni, tanto allegre... cosa e come fare? E con chi? Da dove
cominciare? Come fare e con chi per porre termine a tanta ingiustizia? A questo
continuo degrado. Per poter dare spazio a questa nostra voglia, sia pure tanto
a lungo maltrattata, di vivere diversamente. Di vivere nella dignità;
in una società quindi, semplicemente, normalmente civile.
Vito Teti, alla fine del suo articolo, parla delle “formiche”, delle
brave ed oneste persone che, in ogni campo, sempre ricostruiscono. Ne parla
con queste belle e giuste parole: “Possibile che in questa terra le formiche
tenaci e instancabili, laboriose e speranzose, abbiano un’effimera attenzione
soltanto quando si sacrificano e trovano la morte?”
Ma, ritorniamo agli incendi. Quali provvedimenti si devono prendere, senza più
tardare - nel nostro comune di Acri, come negli altri - per dissuadere coloro
che si rendono coscientemente responsabili degli incendi devastanti che abbiamo
subìto? Per fare severamente pagare questi criminali, quali pene si rendono
necessarie? Senza guardare in faccia nessuno, evidentemente. Sia a sinistra
che a destra, siamo pronti a ragionare in questi termini, diventati appunto
necessari, o ci vorranno altri innumerevoli disastri e morti?
Quali provvedimenti, concreti, a breve e lungo termine, sono e saranno presi
da parte della nostra e delle altre amministrazioni comunali? Ad esempio, dei
comuni a noi limitrofi. Quale efficace sorveglianza del territorio? E per ciò
che concerne i finanziamenti: come sarebbe ancora possibile, viste le conseguenze
della nostra negligenza ambientale che non si può più giustificare,
non fare della prevenzione una priorità? Ed infine, per quanto riguarda
le zone bruciate da vincolare: la catastazione, precisa, delle superficie colpite,
a che punto è? Cosa si sta effettivamente facendo?
Concludendo, un nostro ultimo pensiero, pieno di tristezza, va alla Grecia
che sta vivendo giorni terribili. A questa terra, bellissima, che ci è
vicina e tanto cara. Di cui, ancora oggi, portiamo pensieri di libertà
e democrazia. Più gli antichi nomi di tanti nostri luoghi.