PACS? Un affare di Stato.
Mirko De Maldè
Pretesa subdola, visto che, la storia ci insegna, la sostanziale ubbidienza a valori morali imposti da ordini religiosi rallenta di molto la crescita della collettività in quanto società moderna e avanzata, nonché a risultare talvolta indice di ignoranza e chiusura. Non capisco perché una società civile debba rivolgersi alla Chiesa per farsi costruire e imporre strutture etiche e morali. Ancora non si capisce che il luogo dei cittadini è lo Stato e non la Chiesa. Se volessi una morale da Chiesa andrei in chiesa. Ma se non voglio andare in chiesa, non voglio seguire la Chiesa e non credo nella Chiesa, allora come cittadino pretendo che la morale e l'etica, deciso che debbano esistere, siano frutto dello sviluppo progressivo della società. È dovere di uno stato degno di essere detto avanzato contribuire affinché sia garantita la libertà degli individui, pur nell'eterogeneità delle loro scelte. In questo caso le coppie che non vogliono sposarsi, né in chiesa né in municipio, hanno diritto ad una legge che tuteli la loro unione di fatto. Una legge serve a regolare, serve a permettere, serve anche a limitare. Non si dice mai di no ad una legge che ancora si deve realizzare. Certo i rappresentanti della Chiesa possono intervenire a riguardo, devono, nessuno lo impedisce loro; ma quando escono dalle loro parrocchie allora devono anche sentire la voce contro di chi non è d'accordo, specie se toccano temi prima sociali e poi, forse, religiosi. È il caso dei ragazzi di Siena che non hanno, loro malgrado, la stessa visibilità oltre che gli stessi mezzi di Ruini; mi sembra perciò inevitabile che per esprimersi facciano uso della pubblica piazza, contestando chiaramente le parole del prelato, dissentendo. Non penso affatto, come sostiene qualcuno, che domani "elimineranno fisicamente chi parla ed esprime concetti cari alla Chiesa". Se proprio dobbiamo immaginarci un regime, salvo la differenze degli obiettivi da eliminare, diamo uno sguardo alle modifiche della legge elettorale. L'analisi dei modi che i ragazzi hanno usato, poi, non compete certo ad alcuna "giuria di giusti", nonostante in tanti si mettano a difendere la "povera Chiesa". Concludo dicendo che il matrimonio è un istituto sociale, naturale all'uomo, prima che ecclesiastico. Esso esiste,inteso come unione di due persone, da molto prima del cristianesimo. Quindi la famiglia può crearsi nell'unione di due persone in matrimonio, anche se non si tratta di un matrimonio in chiesa, o evitare il matrimonio e costruire una famiglia lo stesso. La famiglia non corre alcun pericolo, perché essa risiede e vive nella scelta di chi la costruisce, volta per volta. Questo è vero, ad esempio, se pensiamo ai divorzi, poi consueti, che rendono vana l'unione e vuoto il valore di famiglia intesa come cosa a sé. Dovremmo avere quindi più cura di chi fa nascere la famiglia, incentivando e aiutando piuttosto che mantenere saldo il "valore famiglia" come fosse una bandiera; tutelare le coppie e aver cura di loro e di ciò che intendono realizzare, al di la della scelta, propria di ogni coppia, di sposarsi in Chiesa o in comune, o di non farlo affatto. In tal modo, con determinate assicurazioni e prospettive di futuro, sono sicuro che per quante coppie vorranno solo il riconoscimento in quanto tali, altre non rinunceranno a creare una famiglia, allevare figli e perpetuare in questa importante tradizione sociale che oggi, purtroppo, è messa in pericolo più da condizioni economiche e sociali proprie di un futuro tenebroso che da fantomatici problemi morali. Ricordo, infine, le parole di Don Andrea Gallo: "Continuo a coltivare una visione del mondo tenera e coraggiosa e soprattutto ho imparato a tenere nel massimo rispetto l'autodeterminazione di tutte le persone, con la loro libertà di coscienza." |
PUBBLICATO 28/9/2005
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