Popolo e Sistema: un ruolo difficile in un rapporto intricato.
Mirko De Maldè
Entrando subito nel merito della questione, davvero spero che ci sia stata una attenta analisi da parte della popolazione prima di scegliere per l'astensione ma, ad ogni modo, non ci è dato saperlo. Comunque non è questo il punto; il problema verte in maniera specifica sul fenomeno dell'astensione e sulle responsabilità dirette delle istituzioni statali. Per essere chiaro, cariche dello Stato, quali il Presidente Pera e il Presidente Casini, che debbono il loro ruolo ad un referendum (data 1946) che sancisce la nascita della Repubblica italiana e, annessa ad esse, tutte le cariche istituzionali, debbono necessariamente tener fede al dovere di tutelare il referendum nella sua riuscita e incentivare la corretta fruizione di tale istituto democratico; perlomeno dovrebbero esimersi dall'incitare alla non fruizione di tale istituzione democratica. Si verifica altrimenti la situazione per cui mentre è di certo garantito il diritto a votare si o no o astenersi individualmente, nel mantenimento del rispetto per tali differenti posizioni, non altresì è garantita la libertà dell'altro (il votante), che decide di preoccuparsi e intervenire sulla questione, nel momento dell'astensione collettiva e sistematica da parte della stragrande maggioranza della popolazione. Il fatto che tale fenomeno sia incoraggiato dallo stato non mi sembra affatto giusto e corretto. Questo perché risulta essere chiaro che fra le libertà dell'individuo vi è anche quella di non votare, ma la libertà di non votare a livello individuale non coincide con la possibilità da parte dello Stato (nelle persone dei suoi più autorevoli rappresentanti) di incentivare il non voto. Forse i politici, i rappresentanti ufficiali di una fazione, possono esprimere la loro opinione e magari indirizzarsi verso l'astensione. Che poi siano riusciti a convincere la popolazione, sulla base di un "rapporto fiduciario", che l'astensione fosse un bene, buon per loro. Certo non posso dire di essere contento, né dei politici né della cittadinanza, perché penso sia stato indebolito il confronto democratico opportunamente richiesto nel referendum e realizzabile, in questo caso, attraverso il voto. In questo quadro aggiungo che, personalmente, penso che l'astensione da un referendum sia generalmente sbagliata, sia quando si parla di art. 18 sia quando si parla di legge 40, perché il referendum è uno strumento di democrazia diretta attraverso cui il popolo si pronuncia, o attraverso cui si dovrebbe pronunciare se avesse educazione e senso civico. Di certo la legge sul referendum andrebbe rivista, forse modificata, ma comunque mantenuta; i nostri padri costituenti hanno inserito lo strumento del referendum proprio per dare la libertà al popolo di intervenire direttamente, in via eccezionale dato che ci troviamo in una democrazia rappresentativa, su leggi, di pertinenza del Parlamento, nel momento in cui tale organo di potere si stia discostando vistosamente dalla volontà popolare. Magari andrebbero incentivati i mezzi di selezione dei quesiti, evitati gli abusi, aumentato il numero di firme per l'istituzione del referendum e altro su cui non mi soffermo, perché mi addentrerei nella non facile materia di carattere normativo-giuridico, ma il referendum ha un senso, una utilità, una funzione e una dignità da mantenere e proteggere. È doveroso ricordare che i referendum del passato hanno visto la popolazione civile esprimersi su temi importanti quali aborto e divorzio, per non parlare del già citato referendum del '46 Per quanto riguarda la questione dell'ultimo referendum, penso che nessuno abbia pensato di sintetizzare il problema assolutizzando i poli "o legge 40 o niente", né qualcuno abbia pensato che si trattasse di un mero e vuoto scontro tra "si e "no". NO, l'argomento è importante e vasto e si è evidenziata, proprio in questa fase, la necessità di approfondire la conoscenza di questa materia sia dal punto scientifico che dal punto di vista legislativo. Si dovranno fare certamente delle modifiche alla legge 40, che comunque serve a regolamentare la nostra società nei confronti di tali questioni. Ad ogni modo si dovrebbero trattare con maggiore cura temi di simile delicatezza, proprio perchè penso che il problema si ponga a priori rispetto al momento del voto e anche del referendum stesso, inserendosi nella sfera dell'interesse collettivo per materie difficili ma importanti e a cui la popolazione dovrebbe prestare maggiore attenzione, dimostrando solo cosi maggiore coscienza e senso civico e superando, in ultima istanza, anche il problema della "ignoranza popolare", sollevato da Viteritti, chiaramente impeditivo per la buona riuscita del referendum stesso. Per ultimo vorrei aggiungere un paio di considerazioni rispetto al nostro sistema (quello occidentale) e al rapporto fra popolo e potere, che pare essere stato toccato dai suddetti amici Straface e Viteritti; il problema generale risiede, probabilmente, proprio nel fatto che questo forse non è il sistema più democratico possibile. Si può verificare, come sosteneva De Tocqueville, la "dittatura della maggioranza", che andando avanti nel conteggio formale potrebbe imporre le sue posizioni su una popolazione intera. Il che sarebbe più di una semplice "sofferenza" da parte di una minoranza ideale. Dovremmo riflettere con più attenzione sul nostro sistema democratico, sulla sua essenza; riflettere sulle parole di Madison, il quale sosteneva che compito del governo fosse quello di "tutelare la minoranza opulenta dalla maggioranza" Molti intellettuali e politologi affermati come Chomsky o Sartori ci suggeriscono, inoltre, di non trascurare affatto la componente dell'esercizio del potere dal punto di vista degli interessi perseguiti dalle istituzioni statali, nella misura in cui si solleva il dubbio che esse si muovano effettivamente per il bene dell'intera collettività; tale dubbio è alimentato da una sostanziale connivenza e collaborazione, da parte della politica e delle istituzioni, con gli organi del potere economico mondiale, che sono palesemente in mano a gruppi, a lobbies che perseguono interessi particolari di minoranze opulente. Da non trascurare affatto anche il campo della manipolazione o dell'influenza degli organi di potere nella società, attraverso l'uso di strumenti mediatici, che influenzano grandemente la vita della popolazione comune. A supporto di tale tesi lo studioso Edward Bernays, in un testo rilevante dell'industria delle pubbliche relazioni, sostiene che "la manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle opinioni organizzate delle masse è una componente importante della società democratica". Invito gli amici a riflettere per confrontarci su tali tematiche, magari sul forum. Detto questo, preso atto di tale contesto generale, sento di precisare che il "non voto attivo" si configura, a parer mio, in uno scenario diverso da quello di un referendum, per il quale non votare vuol dire lasciar fallire e togliere senso e validità. Un non voto attivo è un validissimo, nonché del tutto legittimo, strumento politico, utile a far valere le ragioni popolari sopra le istanze della "politica di professione", per essere attivamente presenti nelle scelte politiche di carattere collettivo; uno strumento di protesta e di lotta estrema, ma valida e democratica, nella più totale consapevolezza e più auspicabile coscienza che il popolo potrebbe avere come cittadinanza di uno Stato davvero democratico. Un popolo che non si lascia governare passivamente, e non si accontenta del semplice essere "chiamati alle urne", ma vuole essere coinvolto del tutto nella gestione della cosa pubblica, esercitando attivamente il potere che possiede, conquistando tutta la democrazia che gli spetta, come suggerisce l'originale punto di vista di Naomi Klein, nonché le parole di Dewey. Ma il popolo risulta oggi ancora sostanzialmente passivo e manovrabile, in una società che vede, per dirla con il già citato Madison, "il predominio reale di pochi privilegiati sulla massa della popolazione, confinata in condizioni i libertà solo apparente". Madison scriveva qualche secolo fa (fine '700) e il processo di globalizzazione economica e sociale, l'apertura neoliberista dei mercati, la corsa a ricchezza, risorse e potere, non hanno fatto altro che peggiorare la situazione descritta dallo studioso, rendendo ancora più triste e complicata la situazione nel nostro sistema e il ruolo della intera popolazione che in tale sistema è inserita. |
PUBBLICATO 16/6/2005
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