Opinione Letto 1521  |    Stampa articolo

Piazza Fontana e dintorni.

Nicola Iaconetti
Foto © Acri In Rete
Quante beghe! Piccole storie quotidiane. Come diceva un caratterista napoletano in un film della fine degli Ottanta, rivolgendosi a un neonato che piangeva in una culla: "A vita è cacamiento 'e cazzo."
Ma la vita, qualora si voglia dargli un senso, è anche (forse solo.) porsi delle domande. Nell'ennesima notte insonne voglio riflettere su una non più notizia. Qualche giorno fa l'assoluzione definitiva per Zorzi e gli altri.
La prima volta che sono stato a Milano volli andare a vedere due cose (molto vicine fra loro): la libreria Feltrinelli di Piazza Duomo e Piazza Fontana.
Transeat
sulla Feltrinelli, ma la banca dell'agricoltura. una lapide in marmo, annerita e abbrutita dallo smog. e poi basta. Chissà cosa mi aspettavo. forse un presidio permanente, per dire: "in questa piazza è cominciato tutto" o anche: "in questa piazza è cominciata la fine di tutto". Invece. solo un pezzo di marmo sopra uno sportello bancomat.
Dodici dicembre 1969, nella Banca dell'agricoltura una deflagrazione. pezzi di carne sbattuta contro i muri. Dopo qualche giorno Bruno Vespa sul Nazionale (si chiamava così rai uno): "arrestato il mostro, si chiama Pietro Valpreda, ballerino e anarchico, è lui che ha messo la bomba". Quel giorno ha segnato, secondo gli storici, la nascita della strategia della tensione. Secondo me , invece, oltre questo, è stato anche (almeno in Italia) l'atto di nascita di un altro potere: la televisione.
Prima ancora che i giudici emettessero una sentenza, Bruno Vespa aveva detto: il colpevole è Pietro Valpreda. A questo punto, se questo fosse un tema, si potrebbe dire che sono già fuori traccia. Che rapporto c'è tra l'incipit di quest'articolo e il resto? Provo a spiegarlo, anche se sono più bravo a parlare che a scrivere. Mi piacerebbe parlarne, magari davanti all'Annunziata quest'estate, prima del vespero, ma sono fotosensibile, e con tutto quel bianco. Per cui sono costretto a far violenza alla mia natura d'affabulatore e scriverne. Allora cominciamo dal quarto assunto della premessa (la non più notizia), poiché strettamente connesso con l'assioma (il potere della televisione). Un modo efficace per far dimenticare è parlare fino alla nausea di qualcosa. Subito dopo la sentenza di assoluzione per il "camerata" Delfo Zorzi i telegiornali si sono scatenati: servizi, approfondimenti, e soprattutto, risalto al fatto che la parte civile è stata condannata a pagare le spese processuali. Giudici insensibili, non solo il danno, anche la beffa! Che bello per il Tg1 parlar male dei giudici (ci tengo a sottolineare che io dei giudici penso quello che scriveva De André, sono cresciuto a sazizza, vino e De André), che servizio per il datore di lavoro! Poi il nulla. il deserto. una notizia come tante, che fa il suo corso, invecchia subito e muore (chi ricorda Kandahar, o Abu Ghraib, o Mutla Ridge, o Osama Bin Laden o il tir carico di tritolo che girava per le strade italiane dopo l'undici settembre o Calipari [a proposito, chiedetelo a qualche vecchio del Gramna chi era Calipari]. Mo' al massimo va di moda Al Zarqawi). Solo che i giudici applicano le leggi, e la condanna dei parenti delle vittime al pagamento delle spese processuali rientra nella logica di una legge che loro si limitano ad applicare.
Adesso il mostro. Serviva, in quel 1969, un colpevole, allora chi meglio di un anarchico, quindi un nemico dell'ordine borghese, e per di più ballerino, quindi probabilmente ricchione? Tre giorni dopo Pino Pinelli, ferroviere anarchico, cade "inspiegabilmente" da una finestra del quarto piano della questura di Milano (su questa vicenda Camilla Cederna scrisse un libro bellissimo, ultimamente ristampato da Diario). Il responsabile dell'interrogatorio era il commissario Calabresi, un altro eroe dei nostri tempi, un altro Peĉorin (Calabresi, un servo dello Stato come Calipari, fu ammazzato qualche anno dopo, nel '72 se non ricordo male. Del delitto furono accusati e condannati i vertici di Lotta Continua, cosa a cui non crede nemmeno Giuliano Ferrara, ormai ex ideologo di corte. Del resto, c'è un momento in cui i topi abbandonano la nave.). Poi Freda e Ventura poi Giannettini, i servizi deviati, Zorzi. E noi ancora ad aspettare una risposta.
Brevemente gli altri assunti della premessa.
Porsi delle domande significa non dimenticare. Il nostro essere animali fa sì che la natura ci abbia dotato di uno strumento, la memoria, che ci permette di evitare i pericoli. Il cane teme il bastone, noi dobbiamo temere il nostro passato, nel senso che dobbiamo interrogarlo per garantirci una sopravvivenza dignitosa.
Piccole storie quotidiane. Tutto quello che viviamo viene trasformato in quotidianità, quindi normalità, dai mass media. Quante bombe in Iraq oggi, in Palestina ieri, in Somalia sette anni fa, il genocidio dei Tutsi dieci anni fa. La televisione ce li rende vicini, ce li rende visibili, ma nello stesso tempo ci rassicura indicandone la lontananza. Allora la morte di uno o cento uomini produce lo stesso effetto: estraneità. È un concetto che espresse Adorno negli anni cinquanta, a proposito dei cinegiornali. Adorno che morì nel 1969, l'anno di Piazza Fontana, l'anno in cui, nel mio piccolo, sono nato. L'anno che mi tormenta, come dovrebbe tormentare Bologna o Ustica chi è nato nel 1980, come dovrebbe tormentare l'italicus chi è nato nel 1974.
Interrogarsi è fondamentale. E per farlo, purtroppo, per noi generazioni televisive, basta riflettere sull'anno della propria nascita.
Per finire vorrei precisare una cosa a proposito di Calipari e di Calabresi. Quando ho usato l'espressione "servi dello stato", l'ho fatto senza ironia. Si può essere servi dello stato quando un innocente precipita da una finestra. Si può essere servi dello stato trattando la liberazione di un ostaggio catturato in una guerra che nessuno voleva. Si può essere servi dello stato sparando su Carlo Giuliani, o perseguitando gli animatori di un centro sociale. Il destino dei funzionari è eseguire gli ordini e rimanere oscuri fino a quando si finisce sotto i riflettori o non si becca una pallottola. Allora si che si diventa eroi. I classici della letteratura russa sono pieni di ritratti di funzionari. Non c'è differenza, a livello psicologico, tra un funzionario zarista e un funzionario di uno stato democratico.
Del resto, come dicevo qualche anno fa a un mio amico, che mi sembra che oggi sia diventato assessore, e che qualche anno fa la pensava come me, io non sono comunista perché ho letto, come ha fatto lui, Marx, ma perché ho letto qualche classico russo e Baudelaire. Perché è in quei libri che si impara, se non ad amare gli uomini, almeno a sforzarsi di capirli.

PUBBLICATO 15/5/2005

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