Con Angelo Minerva nella splendida corte di Matteo Bandello
Luisiana Ruggieri
Angelo Minerva si presenta al pubblico con un nuovo e interessante saggio intitolato “Bandello & Co – Nobiluomini, nobildonne, dotti, religiosi, militari e altri alla corte di Matteo Bandello”, edito dalla casa editrice Solfanelli di Chieti.
In questa raffinata opera critica l’attenzione è puntata soprattutto sui personaggi, divisi per categorie, che ricorrono nelle lettere di dedica che fanno da premessa a ognuna delle 214 novelle di Matteo Bandello e, di conseguenza, sul variegato e drammatico scenario storico di buona parte del XVI secolo. Grazie al ricco materiale documentario e ad una meticolosa ricerca d’archivio, l’autore porta alla luce eventi, personaggi, atmosfere, ambienti, rituali dell’epoca rinascimentale, trasportando il lettore nella particolare atmosfera dei palazzi signorili e delle principesche corti italiane. Del resto, come sottolinea Francesco Flora, Bandello fu realmente “testimone di una storia tra le più intense e inventive d’ogni epoca, [...] avvertì ed espresse come pochi altri il senso fortunoso del suo tempo.” Le “Novelle” di Matteo Bandello (nato a Castelnuovo Scrivia nel 1485 e morto ad Agen, in Francia, nel 1561), prima monaco domenicano e poi cortigiano a tempo pieno, secondo Giulio Ferroni,“rappresentano la maggiore raccolta novellistica italiana apparsa dopo il Decameron”. Si tratta, in effetti, di un’opera che vanta una straordinaria ricchezza di contenuti e di situazioni e che, affondando le radici nella più antica tradizione della novellistica, assume particolare importanza quale collante tra mondi lontani e tradizioni diverse. Non va dimenticato, infatti, che è stato proprio Boccaccio il primo a operare una profonda e convincente sintesi tra la narrativa araba, di cui egli fa tesoro nel suo capolavoro, e quella occidentale a lui più prossima, diffondendola poi in tutta l’Europa e anche oltre. Il genere novellistico nasce proprio nel Mondo Arabo e ha come prestigioso e autorevolissimo punto di riferimento “Le mille e una notte”, eccezionale e affascinate raccolta, che ha rappresentato uno scrigno pressoché inesauribile di spunti narrativi per la maggior parte degli scrittori che si sono voluti cimentare in questo importantissimo e appassionante genere letterario. Tale tradizione, attraverso Boccaccio, può giungere, quindi, fino a Bandello, tanto che oggi molti critici si chiedono fino a che punto questi sia debitore nei confronti dell’autore del “Decameron”. Come viene messo bene in risalto da Angelo Minerva, Bandello cerca di differenziarsi dall’antico “maestro” rinunciando nella sua raccolta alla solida cornice boccaccesca, collegandosi piuttosto, proprio grazie al ricorso alle lettere di dedica, a Masuccio Salernitano; infatti, a differenza di Boccaccio, fa precedere le sue novelle “da altrettante lettere dedicatorie, in un periodo in cui la pubblicazione delle lettere familiari è ormai largamente diffusa.” Già nel Cinquecento, infatti, la lettera“è da considerarsi come un ben definito costume letterario, un vero e proprio genere che si è evoluto e perfezionato grazie a una continua tensione verso l’acutezza e l’esattezza dell’osservazione e dell’espressione.” Inoltre, “si può senz’altro affermare che le Novelle bandelliane introducono una dimensione nuova nella tradizione novellistica: l’irruzione massiccia della storia nella sua molteplicità di forme”, tanto che Bandello, andando ben oltre la spicciola aneddotica, può mostrarsi come un vero e proprio “storico” del suo tempo. In definitiva è vero che Bandello “uomo di corte, calatosi nei panni dello scrittore, si fa artefice, nella dimensione letteraria, di un mondo che ha conosciuto direttamente e che però sta per disintegrarsi nell’urto demolitore con la grande storia.” Un’altra non trascurabile differenza è rappresentata, poi, dalla lingua: Bandello, rifiutando gli utili consigli che Pietro Bembo offre ai letterati dell’epoca con le sue “Prose della volgar lingua”, usa il lombardo e non il fiorentino nel comporre la sua opera, palesemente fiero delle sue origini settentrionali. Un’attenzione particolare meritano le lettere presenti nella raccolta, una sorta di genere letterario “intermedio”, assai prossimo alla novella, se è vero che, come si legge nel saggio in questione, “elemento costitutivo basilare della lettera, quello che ne è alla radice, è proprio l’esigenza di instaurare rapporti che non temano le distanze, è il dare notizia di sé, il raccontarsi, e quindi il presentare se stesso a qualcun altro, in modo diverso, a seconda dei casi e delle circostanze (il modo è anche legato ai diversi moduli stilistici o strutturali rintracciabili nella lettera): si tratta, in definitiva, della stessa esigenza di raccontare che è alla base delle novelle.” Bandello, indubbiamente, non può essere considerato un semplice imitatore di Boccaccio, dal momento che ha coltivato un genere letterario che allora si stava affermando ed evolvendo, non soltanto in Italia ma in tutta Europa. E, infatti, per fare solo un paio di esempi, sarà l’ispiratore, tra gli altri, del poeta inglese George Gascoigne, e addirittura di William Shakespeare, non solo per la tragedia “Romeo e Giulietta”, ma anche per “Molto rumore per nulla” e “La dodicesima notte”. Questo riuscitissimo saggio di Angelo Minerva, che propone anche due esempi di analisi critica di novelle bandelliane, può senz’altro rappresentare una lettura interessante e utile non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per un più ampio pubblico, dal momento che l’autore, pur nel rigore dell’analisi testuale e filologica delle fonti (l’ampia bibliografia è da considerare come un materiale davvero prezioso per gli studiosi) e dei riferimenti critici e documentali (si può spaziare dal “Cortegiano” di Baldassar Castiglione alla “Liberata” di Torquato Tasso, per citare solo due titoli popolari), non rinuncia all’uso di un linguaggio scorrevole, chiaro e accattivante, attento a cogliere sfumature e caratteri peculiari di un’intera epoca: “La dimensione cortigiana storicamente e umanamente ben connotata, che per molti aspetti emerge chiara e potente dalle dedicatorie, finisce così con l’apparire ai posteri come corrosa alla radice da una sottile vena malinconica, percorsa da una sorta di diffuso rimpianto che contribuisce da un lato a esaltarne il ricordo e dall’altro a farne un mito contraddittorio che può continuare a brillare proprio grazie alla sua luminosa e struggente vacuità.” |
PUBBLICATO 18/02/2017 | © Riproduzione Riservata
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