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La Questione Morale 35 anni dopo

Foto © Acri In Rete
Piergiorgio Garofalo
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Il 28 Luglio del 1981, anno passato alla storia per il ritrovamento dei registri della Loggia massonica P2, Enrico Berlinguer, rilasciava a Repubblica la famosa intervista che segnò il primo atto di istituzionalizzazione politica e sociale della Questione Morale e che, di fatto, rappresentò l’ultimo grande retaggio di quel laboratorio democratico di avanguardia politica e sociale che fu il Pci.
Diverso tra i diversi, il più grande partito comunista d’occidente, non solo contribuì in maniera fondamentale alla redazione della Costituzione Repubblicana, ma fu decisivo nei decenni successivi anzitutto nell’interpretare le istanze di una società italiana ancora acerba in molte sue espressioni, e poi nel razionalizzarle alla luce delle aspirazioni e dei bisogni di quelle ampie frange sociali che troppo spesso la prassi politologica circoscrive al solo movimento operaio.  
Si trattò del più grande movimento di massa del novecento che, ben presto, ancor prima di storia contemporanea, evolse in cultura e folklore popolare, in filosofia di vita e di esperienze collettive.
Questo complesso mondo di culture e di valori è però, oggi, andato perduto. Abiurato proprio da coloro i quali avrebbero dovuto proseguire e perseguire quella “diversità della sinistra” ma che, invece, preferendo avallare le pulsioni dominanti di un’epoca asservita ai mercati finanziari e al liberismo incontrollato, come risultato, contribuirono (ma soprattutto contribuiscono) a fondare un ordine politico basato sull’omologazione e sulla conservazione del potere perseguita dai partiti tramite Spoils SystemManuale Cencelli.
Correnti, capi-bastone, referenti e sodali: i partiti di oggi, ormai ridotti a meri comitati elettorali, perseguono una politica(?) vuota e  di puro interesse, slegata dalle esigenze dei territori, non di rado sconfinante nel malaffare e priva di idee e di valori, priva di visioni, di sentimenti e, dunque, di passioni. Decisive, queste ultime, per poter instaurare quel legame di fiducia vero e disinteressato tra rappresentanti e rappresentati.
In un tale contesto gli echi della questione morale vengono ridotti sovente a vuota retorica. Se ne conserva la forma e, al contempo, se ne ignora il contenuto fino a quasi  svilirlo. “L’occupazione sistematica dello Stato da parte dei partiti governativi e dalle loro correnti” non solo dunque non è stata contrastata, ma è diventata invece scienza. Prassi elevata a modello. E a tutti i livelli.
La posizione della Questione Morale fu il primo vero atto d’accusa verso questa distorsione della forma partito. Proprio questi ultimi, stando all’accezione Berlingueriana, dovrebbero essere quei fondamentali corpi intermedi che “organizzano il popolo e ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa” e che, nel solco della Costituzione, “concorrono alla formazione della volontà politica della nazione interpretando le grandi correnti di opinione e organizzando le aspirazioni del popolo”.
Per far si che le funzioni e i compiti dei partiti possano ripristinarsi per poter concorrere all’autoriforma della politica è però necessario un lavoro strutturale. Le scuole di partito, il lavoro disinteressato per i territori e per i bisogni primari dei cittadini, l’individuazione di rigorosi criteri di selezione del capitale umano politico devono, necessariamente, tornare ad avere come comune denominatore un supporto ideologico riconosciuto e in linea con la modernità.
Uno degli argomenti politici più consolidati infatti, è ad oggi, proprio quello che vuole descrivere l’epoca odierna come era post-ideologica. Basti solo questa contraddizione per capire lo stato lugubre dell’economia della forma partito. Come può, una formazione che pretende organizzare politicamente la società attraverso proposte e sistemi più o meno  complessi, esularsi dall’apporto vitale di idee e valori che ne indirizzino la natura e ne contraddistinguano la specie riconducendola a proposta ben definita e individuabile da chi poi, sarà chiamato a scegliere?
Quella che dunque viene descritta oggi come epoca post-ideologica in realtà, mette a nudo una scelta di comodo che consiste appunto nel non voler diversificarsi attraverso la costruzione di un’offerta politica netta e in antitesi  rispetto agli altri concorrenti nello scenario pubblico.
Conviene a chi brama il potere, allargare le basi dell’elettorato per renderlo quasi anonimo, creare convergenze, trasversalismi e perseguire politiche moderate o, addirittura, variegate piuttosto che partire da un alveo ben definito per rivolgersi poi all’intero paese con una proposta di rottura e progressista rispetto al passato.
Compito della politica è però non quello di raggiungere il potere tout court ma bensì quello di dare un’alternativa di vita, una speranza di futuro, un sogno da realizzare in maniera collettiva.
Questione morale è anche e soprattutto questo, perché prima di poter risanare lo Stato dai partiti degenerati è necessario proprio intervenire su di essi, liberarli dall’interesse particolare, dalle lottizzazioni e dalle correnti. E’ necessario ridargli un popolo che se ne curi, che li difenda e che ne tramandi, di generazione in generazione, il compito.

PUBBLICATO 31/07/2016 | © Riproduzione Riservata





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