OPINIONE Letto 1415  |    Stampa articolo

La terra dei nostri nonni

Foto © Acri In Rete
Manuel Francesco Arena
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Del mio nonno paterno che si chiamava Francesco, io porto il mio secondo nome e ne ho ereditato il grande amore per la Sila. Se ne è andato che io avevo sette anni e lo ricordo sempre ben vestito e con il suo immancabile grande cappello nero. Zu’ Franciscu com’era conosciuto a Duglia, fece il pastore per un proprietario terriero del tempo nei latifondi della Sila Greca. Lassù passava tutte le estati, lontano dai suoi sei figli e da nonna Angela per governare gli animali.
Era una vita difficile in tempi difficili, fatta di gran sacrificio: si dormiva all’addiaccio o nei pagliai, si mungeva a mano e si faceva la ricotta in grossi calderoni alimentati da frasche e legni di quercia.
Epica nei racconti che ancora fanno i più anziani, resta la storia di quando inseguì un lupo per contendergli un agnello.
All’epoca infatti la Sila tutta pullulava di lupi che non di rado attaccavano le greggi e chi era addetto alla guardia, proprio non poteva permettersi di perdere una pecora poiché doveva darne conto al padrone, il quale se si accorgeva che un animale mancava, erano guai seri.
Nonno Francesco sebbene esile nel fisico, era coraggioso e forte come una quercia da giovane.
Non ci pensò due volte a darsi dietro al lupo riuscendone ad averne la meglio e salvando l’incolpevole agnellino dalle fauci della bestia feroce.
Non mi vergogno di essere il nipote di un pastore, anzi per me questo è un motivo di fierezza poiché l’epopea contadina del ‘900 contribuì a far grande Acri. La nostra montagna dava da mangiare all’epoca, pullulava di gente che lavoravano le sue fertili terre e badavano alle greggi.
Questi a forza di inimmaginabili sacrifici oggi, mettevano su le basi per costruire un futuro migliore da consegnare ai propri figli.
Purtroppo col passare del tempo la Sila Greca è caduta sempre di più nell’abbandono.
Qualcuno però ancora lassù è rimasto a coltivarla raccogliendo grano color oro, patate, fagioli e producendo buonissimi formaggi.
Purtroppo però tutto questo potrebbe finire perché a qualche benpensante è passata per la testa l’idea di collocare lì un parco eolico.
Se non ci fosse da piangere potevamo riderci su perché la cosa sembra un ossimoro solo immaginarla!
Quel che si deve capire ad Acri è che stavolta chinando la testa, perderemo luoghi di immensa bellezza naturalistica e parte della nostra storia.
Lì in quelle terre dove i nostri antenati hanno sgobbato e sudato legandoci pianti e gioie, risiede un tesoro fatto di purezza, boschi, biodiversità ed eccellenze culinarie.
Non possiamo permetterci di perdere la nostra pura montagna per come la conosciamo, ne va del futuro della nostra città perché se chi vuole vedere le “torri del vento” lì avrà ragione, perderemo il nostro tesoro chiamato Sila per sempre ed allora lagnarsi sarà troppo tardi oltreché inutile.
É soprattutto una questione di cuore perché i nostri nonni quella terra la hanno sempre difesa ed amata.
Svegliamoci ora perché la campanella sta per suonare irreversibilmente!

PUBBLICATO 28/09/2024 | © Riproduzione Riservata





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