La lingua batte dove il dente duole
Giuseppe Via
Voglio fare alcune riflessioni sull’uso della lingua inglese in Italia e anche da parte di tanti concittadini acresi.
La lingua inglese è diffusa in tutto il mondo e la causa di ciò è in gran parte dovuta al fatto che gli inglesi avevano conquistato molte nazioni, da formare un immenso impero, in tutti i continenti. Oramai è diventata la lingua ufficiale della diplomazia, del commercio e di quasi tutte le interazioni che avvengono tra popoli diversi. Per restare in Europa, è noto a tutti noi che la maggior parte dei cittadini europei ha come seconda lingua, parlata e scritta, l’inglese. Da questa “maggior parte” dobbiamo escludere l’Italia. Infatti, l’Italia è il paese europeo con minore conoscenza della lingua inglese, nonostante essa venga studiata (si fa per dire) sia nella scuola dell’obbligo che alle scuole superiori. Questa stranezza è, a mio avviso, da addebitare al modo come viene insegnata e dai programmi demenziali ministeriali. Si studia prevalentemente la grammatica, senza prendere seriamente in considerazione che per imparare una nuova lingua si deve prima conoscere le parole ed il loro significato e poi saperle pronunciare correttamente. In poche parole, ciascuno deve prima farsi un personale vocabolario, una pronuncia accettabile e poi mettere insieme il tutto per costruire le varie frasi di un discorso. Né più, né meno come avviene nei neonati che imparano la lingua dei genitori, facendo esattamente il percorso descritto prima. Oggi molti genitori sono costretti a mandare i propri figli in scuole private per imparare l’inglese, integrando quello che la scuola pubblica non è in grado di fare, salvo le rare eccezioni di insegnanti “illuminati”. Conoscere bene una seconda lingua e specificamente l’inglese apre letteralmente le porte del mondo. Ciascun popolo ha una propria lingua madre, con la quale ci si sente a proprio agio, con un proprio vocabolario ed una propria pronuncia. Nel tempo, inevitabilmente, ciascuna lingua evolve, sia cambiando il significato di alcuni termini, sia incamerando nel proprio vocabolario parole anche di altre lingue, soprattutto quando esse siano neologismi (parole nuove) che non esistono nella propria lingua , ma che servono per indicare nuovi oggetti, nuovi processi industriali, informatici e quant’altro. Questo succede in tutti gli idiomi del mondo. Ma una cosa è incamerare ed usare alcuni neologismi, altra cosa è stravolgere la propria lingua madre con uso continuo di parole inglesi, che niente hanno a che fare con l’italiano. Queste parole le sentiamo continuamente, sia in rete, alla tv, nei manifesti pubblicitari e in tutto ciò che ci circonda. Tutte le persone intelligenti sanno che se si parla in inglese bisogna farlo correttamente, senza inserire parole di altre lingue; così è lo stesso se si parla in spagnolo, in francese, in tedesco ecc. altrimenti chi ascolta o legge, che sia inglese, francese, spagnolo, tedesco ecc, non capirebbe niente. Non vedo perché, invece, quando si parla o scrive in italiano, vengono usate moltissime parole inglesi che vanno a sostituire le parole italiane con lo stesso significato. E’ un fatto bizzarro ed unico nel mondo. Quando si parla in italiano devono essere usati i vocaboli italiani, così come detto per le altre lingue. Molti “stranieri” e soprattutto quelli di madrelingua inglese rimangono sorpresi in modo negativo di questo fatto. Tutti i popoli difendono la purezza della propria lingua madre, in primis i francesi, seguiti dagli spagnoli e da tutti gli altri. Noi italiani no, perché? In fondo è una lingua bellissima, apprezzata in tutto il mondo. E’ la lingua della cultura. Perché dobbiamo continuamente storpiarla? Cerchiamo di dare una spiegazione plausibile a questa nostra stranezza. Noi italiani e soprattutto noi meridionali e calabresi in particolare, siamo, come si dice dalle nostre parti “amanti dello straniero”. Avendo subìto decine di dominazioni nei vari secoli, siamo abituati e quasi geneticamente predisposti a piegare la testa a tutto quello che viene dall’esterno e a questo stato di cose non sfugge la lingua inglese. Come evidenziato all’inizio, l’Italia è l’ultima nazione d’Europa nella conoscenza dell’inglese, la maggior parte di noi(e mi ci metto anch’io) non lo conosce bene, in poche parole siamo ignoranti in materia. Questa ignoranza dell’inglese e di molti anche dell’italiano, accompagnata dall’amore per tutto quello che è straniero, fa si che venga storpiata la nostra bellissima lingua, con il risultato finale di esprimersi né in italiano né in inglese. Non si fa altro che scimmiottare, cioè imitare in maniera goffa e maldestra i comportamenti altrui. Una volta questi tipi di comportamenti venivano definiti “provinciali”, a specificare che la provincia scimmiottava quello che avveniva in città. Oggi vanno intesi in modo più ampio in un mondo globalizzato, intendendo come “provincia” l’intera Italia, rispetto al resto dell’occidente. Il grado di “provincialità” (e quindi di scarsa conoscenza) di una persona, può essere calcolato facendo la somma totale delle parole inglesi che usa quando parla o scrive in italiano e delle quali magari non ne conosce nemmeno il significato (quanti sanno ad esempio che il precedente presidente degli Stati Uniti Donald Trump, se tradotto in italiano significa Donald Briscola? E così tantissimi vocaboli inglesi che noi italiani usiamo a sproposito al posto dei nostri, credendo che ciò sia “figo”. No non è figo, è da ignoranti. Infatti, quelli che conoscono bene l’inglese e l’italiano parlano distintamente l’una e l’altra lingua utilizzando i rispettivi vocaboli (tranne, naturalmente, i cosiddetti neologismi). Quello che sta succedendo non è una cosa banale e senza conseguenze, ma apre la strada alla perdita della propria identità, della propria lingua, della propria storia, delle proprie tradizioni, in definitiva della propria cultura. Chi scimmiotta gli altri, inevitabilmente, alla fine perde anche la propria dignità. Una volta quelli che non avevano dignità erano gli schiavi. |
PUBBLICATO 03/08/2024 | © Riproduzione Riservata
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