Calcio, l'Acri verso la retrocessione: chiarite tutto oppure (tutti) fatevi da parte
Francesco Roberto Spina
Il calcio acrese è finito. Non ci possono essere mezzi termini per descrivere ciò che sta accadendo ad Acri, dove anche lo sport più bello del mondo si avvia a “scomparire”. Una situazione drammatica ma allo stesso momento paradossale e anche grottesca.
La locale squadra di calcio, infatti, ultima in Eccellenza, sembra essere destinata (salvo miracoli sportivi) alla retrocessione e, purtroppo, tutto ciò nella più totale indifferenza di una comunità assopita. Il calcio non è solo uno sport dove 22 persone in “mutande” corrono appresso ad un pallone. Il calcio è uno sport che racchiude sentimento, aggregazione e passione. Uno sport che il più delle volte rappresenta una comunità e lo specchio della stessa. Il fallimento del calcio acrese, dunque, è l’ennesimo tassello del fallimento della comunità acrese. Inutile nasconderci dietro a un dito. Lo sport come specchio di una società che lentamente sta perdendo i pezzi e che si ritrova, giorno dopo giorno, a svuotarsi. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Ma torniamo al calcio nostrano. È assolutamente d’obbligo fare una premessa: nello sport ci stanno i risultati negativi, fanno parte del gioco. Si vince e si perde, si sale di categoria e si retrocede. Nessun dubbio su questo. Nello sport, in questo caso nel calcio, così come nella vita, si deve però lottare, dal primo all’ultimo minuto. Si deve lottare per principio, identità e valori. Si deve lottare con ogni forza e con il giusto coraggio e anche con quel pizzico di follia. Poi, si può anche perdere, non fa nulla ma si deve lottare. Prendo in prestito una frase di un campione che ci ha lasciato troppo presto, Gianluca Vialli: «L’importante non è vincere; è pensare in modo vincente. La vita è fatta per il 10 per cento di quel che ci succede, e per il 90 per cento di come lo affrontiamo». Nella vita faccio il giornalista ma questo non è un articolo giornalistico, bensì lo sfogo di un semplice tifoso che vuole essere da sprono per tutti coloro i quali tengono alle sorti dei colori rossoneri e di un’intera città. Ho seguito (sul campo) oltre 500 partite dell’Acri negli ultimi 15 anni, ieri però non me la sono sentita di prendere parte ad uno spettacolo umiliante e, per lavoro, ho deciso di “migrare” verso altri lidi. È stato meglio così. Sul terreno del “Pasquale Castrovillari” sono scesi in campo 11 eroi, 11 ragazzini con il cuore rossonero a cui va sicuramente fatto un applauso ma che nello stesso momento vanno tutelati e salvati da quello che potrebbe essere un “massacro sportivo” e allo stesso tempo la fine anticipata dei loro sogni di gloria. Al termine del campionato mancano ancora 14 partite e, sicuramente, subire 6 gol a partita non piace a nessuno. Figuriamoci a chi insegue il sogno di diventare calciatore. Mandare in campo la formazione juniores è, secondo il mio modesto parere una scelta scellerata, che fa solo del male ai “lupacchiotti” e che non li valorizza, anzi li mette al centro di una serie epica di umiliazioni. Capisco bene che per fare calcio, anche a questi livelli, c’è bisogno di solidità economica ma non si può però giocare sulla dignità delle persone. L’attuale progetto è fallimentare. Sfido anche in questo caso a provare il contrario. Allo stesso tempo, però, non voglio puntare il dito contro nessuno in particolare ma, anzi, fare un mea culpa generale. L’Acri è in questa situazione drammatica per una serie di problemi societari, a prescindere però da quali siano stati tali problemi, la responsabilità di questo crollo totale è di tutti, senza distinzioni. È colpa della società, non in grado di programmare una stagione ma di navigare a vista, con scarsa visione e con la più totale approssimazione. È colpa della politica che, dovrebbe tutelare la squadra, non concentrandosi esclusivamente sulla burocrazia e sul fatto che si tratta di una società “privata”. La squadra di calcio rappresenta una comunità, porta in giro il nome di una città e, nel piccolo o nel grande che sia, è anche volano economico. Ma soprattutto è identità, storia e cultura. Ad oggi, l’Amministrazione ha il dovere di capire come stiano le cose e tutelare l’intera città di Acri. Ripeto, il risultato sportivo è una cosa, la dignità un’altra. Si può retrocedere ma con dignità e gli amministratori hanno il compito di fare di tutto per salvaguardare la storia di questi colori. Sono stati votati per ciò, altrimenti si facciano da parte. La burocrazia e la mera politica a volte vanno messe da parte per dare spazio al cuore. Altrimenti qua rischiamo di vivere senza sentimenti. L’Amministazione ha l’obbligo di vederci chiaro anche perché, nel piccolo, la collettività affronta delle spese con il calcio e queste spese devono avere un ritorno. Altrimenti meglio chiudere lo stadio e affidarlo, sotto il pagamento di un fitto, alle tante scuole calcio della zona. Ma questo è un discorso da approfondire più in avanti. La colpa di tale situazione è anche dei tifosi, che hanno lasciato correre e non si sono fatti “sentire”. Loro sono l’anima pulsante di tutto e negli anni hanno sempre dimostrato di meritare ben altre categorie. Quest’anno, però, qualcosa non è scattata e se ci si ritrova in tale situazione qualche responsabilità è anche loro. Tante colpe sono anche della stampa locale. In questo caso – ovviamente – me compreso. Dovevamo essere forse più pungenti già dai mesi scorsi e diretti nel raccontare una situazione al limite dell’inverosimile. Una situazione che è precipitata e che adesso sembra essere insanabile. Questo ci serva come lezione. Adesso però è il momento di fare chiarezza e di avere il coraggio di dire le cose come stanno ma soprattutto pensare a progettare un futuro che nell’immediato vedrà quasi certamente un’amara retrocessione. Quattordici lunghe partite per retrocedere, una totale agonia. Ad oggi la società rossonera è rappresentata solo dal presidente Carlo Stumpo, nota figura dello sport acrese a cui va dato atto di aver in più di un’occasione salvato il calcio nostrano. Mister Stumpo (così come lo chiamiamo tutti) ha però adesso l’obbligo di chiarire pubblicamente ciò che è accaduto, quello che sta accadendo e soprattutto spiegare come potrà essere il futuro. È stato lasciato solo? Ha voluto rimanere solo? Queste sono domande alle quali può rispondere solo ed esclusivamente il diretto interessato. Chiudersi nel silenzio non serve a nessuno, tantomeno a lui. Anzi, uscire pubblicamente, chiarendo ogni aspetto lo porrebbe in una situazione quasi apprezzabile. Proseguire così, all’arrembaggio, e senza un filo di programmazione non porta a nulla. Anzi, rischia di infangare indelebilmente tutto. Allo stesso momento anche chi ha fatto parte del sodalizio ha l’obbligo di chiarire ogni aspetto. Bisogna farlo, ripeto, non per il risultato sportivo in sé (quello è l’ultimo dei problemi) ma per rispetto verso la storia rossonera. È ovvio, ma anche scontato, che in questa situazione “schifosa” c’è stata e c’è gente che con umiltà, passione e sacrificio ha tentato con ogni mezzo (anche solo portando i panini in trasferta) di salvare il salvabile. A loro un grazie. Così come va ringraziato lo staff tecnico dimissionario (mister Perri su tutti) e tutti i calciatori. Loro sono tra i veri eroi e le vittime di tale situazione. L’Acri quasi sicuramente retrocederà ma i colori rossoneri non moriranno mai, questa è l’unica certezza. L’attuale situazione, però, merita risposte serie e precise. Altrimenti, se ci si ostina a continuare in questo modo meglio, secondo il mio modesto parere, scendere in campo senza indossare la maglia rossonera. Questa squadra, così, non rappresenta la città. |
PUBBLICATO 10/01/2023 | © Riproduzione Riservata
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