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La cucina nell’antichità

Foto © Acri In Rete
Gaia Bafaro
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Oggi intraprenderemo un viaggio nella gastronomia delle antiche civiltà. La cucina è da considerarsi importantissima nella storia dell’uomo e dal tipo di pietanze consumate da un popolo, si potevano evincere molte cose: la disponibilità economica, la ricchezza agricola o di bestiame di un determinato territorio e persino l’appartenenza ad una comunità religiosa o ideologica. Ancora oggi, la tipologia di piatti da noi consumati ci identifica in tutto il mondo, ad esempio, in Italia siamo noti per la pizza, gli spaghetti e per alcuni dolci di varie regioni, tipo il babà napoletano o la cassata di Sicilia. Ma vi siete mai chiesti come siamo arrivati alla preparazione di ricette deliziose che si fondano sulla sapiente combinazione di vari ingredienti? Iniziamo con qualche accenno mitologico, partendo dall’elemento che ha permesso ai primi uomini di passare da una cucina di “natura” ( carni non cotte, erbe ecc … ) ad una cucina di cultura: il fuoco. Secondo il mito, il fuoco fu rubato agli dei da Prometeo per farne dono agli uomini. Esiodo ci informa che Prometeo non sopportava più la vista dell’umanità miserabile e decise per questo motivo di regalargli un elemento che avrebbe favorito la cottura dei cibi, la lavorazione dei metalli e la difesa dai predatori. Questo atto costò molto al coraggioso Titano che venne condannato da Zeus ad essere legato su una rupe mentre un’ aquila eternamente gli avrebbe divorato il fegato. A sottolineare l’importanza del fuoco sono le parole di rimprovero di Zeus ad Efesto che era stato incaricato di custodirlo: “Ti avevo affidato il fuoco e te lo sei fatto rubare. Adesso gli uomini monteranno in superbia e si crederanno simili a noi immortali.” Per fortuna, l’audace Prometeo aveva ormai donato la scintilla divina ai primi uomini e per questo suo atto rivoluzionario venne, inseguito alla sua liberazione da parte di Eracle, perdonato da Zeus che in fondo era benevolo nei suoi confronti. Dunque da questo istante si è uomini poiché si cuoce il cibo. Una ulteriore importante scoperta fu la nascita dell’argilla, dall’esaltazione del sapore del cibo che avveniva ponendolo a contatto diretto con la fiamma, si passo successivamente all’innovativa scoperta dei recipienti per contenere gli alimenti e miscelarli tra di loro. Probabilmente, questa nuova idea avvenne in modo casuale, qualcuno dovette osservare che l’acqua piovana non veniva assorbita dai terreni argillosi e che si trattava anche di un materiale facilmente reperibile. I primi ritrovamenti di recipienti per cibo risalgono al 6000 a. C in Giappone ed Africa , erano seccati al sole e per questo con una durata breve. Anche per tale avvenimento c’è un’origine mitologica che racconta di come l’eroe Keramos, nato da Arianna figlia del re di Creta Minosse e dal dio Dioniso, insegnasse la lavorazione della ceramica agli uomini in modo che potessero conservare e far maturare il vino. Storicamente , grazie alla ceramica si assiste ad un ulteriore progresso: la divisione delle mansioni tra uomo – cacciatore e donna- addetta alla cottura dei cibi ed al mantenimento della prole e dell’abitazione. Le prime tracce di archeologia culinaria provengono dai Babilonesi, si tratta di due tavolette d’argilla databili nel 1800 a.C . solo in una si possono recuperare 25 ricette di cui 21 a base di carne e 4 base di verdure, mentre, dall’altra tavoletta ci sono pervenute solo 10 ricette purtroppo incomplete. Erodoto nel terzo libro delle “Storie” ci informa di come i cibi venivano cotti, gli abbondanti cereali macinati e di come il pesce, presente in abbondanza e proveniente soprattutto dal Tigri e dell’Eufrate, fosse destinato ai ceti sociali più poveri. Lo storico, inoltre, ci informa che i Babilonesi erano, grazie alla loro alimentazione salutare , longevi ( 120 anni) e che fossero rinomati in tutto il mondo antico per la loro bellezza e altezza. Essere in carne in quel periodo era poi da considerarsi un pregio da attribuirsi solo ai ricchi. Principalmente le pietanze venivano preparate facendo bollire la carne nell’acqua e aggiungendo: porro, cipolla, aglio e grasso. Da questa descrizione, le pietanze non risulterebbero appetibili e si potrebbe pensare erroneamente ad un cibo lessato, così non era dato che si trattava con più probabilità di stufati , serviti con del pane utilizzato al posto delle posate, all’epoca inesistenti. Importantissimo era anche l’utilizzo del sangue usato per addensare ed insaporire le pietanze. La cucina degli antichi Egizi, ci dice Erodoto, era contro gli eccessi e nei papiri si legge: “è proprio dell’uomo saggio contenersi dal mangiare”; “meglio una vita di stenti che morire di indigestione”; “Non abbuffarti di cibo o avrai la vita corta”. Le ricette di questa civiltà ci sono giunte dalle tombe di faraoni o alti dignitari di corte giacché la vita continuava dopo la morte, l’anima necessitava di cose appartenute in vita. A tal proposito va menzionata quella che potremmo definire quasi con certezza la ricetta dei primi dolci della storia, rinvenuti nella tomba di Ramses III è chiamati “Le dolci spirali”, si trattava di ciambelline farcite con ricotta e miele. Infatti il popolo egiziano , faceva largo utilizzo di dolci fruttati ed aromatizzati al miele. Il pane aveva nell’alimentazione un ruolo fondamentale, veniva utilizzato a scopo religioso ed era anche metodo di pagamento agli schiavi, questo era possibile grazie alla fertilità del Nilo che permetteva la coltivazione di cereali. Inoltre, si conosceva la lievitazione naturale che avveniva al sole e si riteneva che tale processo fosse un dono di Ra. Tra i legumi consumati spiccano le fave, accompagnate con pane azzimo e condite con limone. I Persiani, invece, amavano gli eccessi e si cibavano di animali di grossa carne come gli struzzi, cammelli o i cavalli, cucinati in grandi forni e accompagnati da abbondante vino, mangiavano poi, sempre secondo Erodoto, moltissimi dolci ma, ovviamente, i poveri si cibavano di frutta , cereali e legumi. Probabilmente, la cosiddetta “Dieta Mediterranea” sarebbe da ricondursi ai Fenici, umili e navigatori, importavano alimenti grazie al commercio, inventarono cibi a lunga conservazione come la bottarga o altre salse di pesce e utilizzavano olio d’oliva. Vi era scarsità di legna e quindi il cibo veniva essiccato al sole o poco cotto. Gli ingredienti erano essenziali ma abilmente impiegati dalle donne. La figura del cuoco doveva essere importantissima anche nell’antichità e le ricette erano tramandate da generazioni o persino a discepoli. Della cucine e dei cuochi della Magna Grecia è scritto in un trattato in versi di Ateneo di Neucrati, dal titolo “La cena dei sapienti”. Emerge da questo documento il nome dello “Chef” siciliano Mithekos e l’informazione della possibilità di brevettare le ricette per la durata di 12 mesi. Importante in Grecia era il concetto di “Mente sana in un corpo sano”, il primo a parlarci di benessere del cibo fu Filolao di Crotone, un medico del IV sec, ma importante contributo ci viene dai Pitagorici con la dieta vegetariana, il tabù delle fave, ritenuto cibo sacro ai morti e il divieto di mangiare tutto ciò che proveniva dal mare poiché estraneo alla terra. Pitagora, invitava inoltre alla moderazione poiché la sazietà del ventre annebbiava quelli che erano i sogni profetici mattutini, molto importanti per i pitagorici. Qualche accenno infine sui romani, di cui conosciamo alcune ricette grazie al ricettario di Apicio, i ricchi si davano allo sfarzo, a lauti banchetti, consumavano il “garrum” la salsa di pesce tanto famosa nell’antichità, non utilizzavano posate e per questo, trattavano le ustioni immergendo le dita in acqua aromatizzata alle rose. Mangiavano sdraiati e davano spazio alle presentazioni sfarzose del cibo ma principalmente anche per la maggior parte delle persone romane i pasti erano frugali. Insomma, un discorso lungo e affascinante che dimostra l’importanza del cibo e la sua connessione con sacro, profano , vita e morte. Bibliografia: Il gusto perduto di Arnaldo Caruso. Il tabù delle Fave di Giovanni Sole

PUBBLICATO 03/02/2022 | © Riproduzione Riservata





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