Ricordo una persona perbene: let's go to work
Angela Maria Spina
Ho intercettato Giuseppe Straface pressappoco agli inizi della mia carriera, fu prima collega di Lingua e Letteratura Inglese, docente che ha saputo rendere frizzante i tempi del mio insegnamento agli albori; cristallizzato nell’allegria vivace, la serenità resa gioia di vivere, e nella convivialità performante, di una magnifica comunità scolastica d’altri tempi, dove il confine tra rapporto professionale e amicizia, era assai impercettibile: era il tempo immemore in cui i docenti riuscivano ad essere prima di tutto amici, e non solo banalmente colleghi di lavoro.
Diventato preside dopo qualche tempo, seppe essere Non un preside qualunque, ma “il ” Preside, prima della scuola “Vincenzo Padula” di Acri, poi dopo della locale “Leonardo da Vinci”, (o viceversa ora non ricordo più) ed ebbe anche lui modo, di cominciare a scrivere con signorilità e consistente generosità, la storia della mia professione docente. Esattamente lì nella sua scuola, ho iniziato l’incedere affatto spedito della mia professione, lo ricordo ancora, e con non poca emozione. Conoscerlo come come dirigente scolastico, posso dire che è stata una scoperta, sebbene non lo abbia mai chiamato Dirigente; quand’anche mi concedesse il privilegio di apprezzarne il suo viscerale amore per la vita, il suo lavoro, nel suo religioso e profondo senso contemplativo dell’impegno e della cura. L’identico impegno che seppe profondere per la politica al sevizio della gente e per la crescita della comunità cittadina, attraverso i suoi connaturati valori di uomo generoso, pieno di rispetto per gli altri. Per quanto ostico possa ora rivelarsi, la necessità di volerlo commemorare, a poche ore dalla sua scomparsa, risulta integro e profondo il dolore che ha causato la sua perdita, improvvisa e inconcepibile. Tutti, familiari, amici e colleghi, sanno di doversi abbandonare a molteplici ricordi e momenti di vita e convivialità, trascorsi indimenticabilmente insieme a lui. Per rendersi nel contempo persuasi che la morte ci toglie sì, ciò che ci è caro, ma al tempo stesso ci restituisce ciò che abbiamo di più prezioso: le nostre relazioni e i nostri contatti, in questo caso con una persona di una bellezza interiore singolare e ancor più rara, di uomo perbene, con quelle sue qualità di generosità e autenticità. Non sarà dunque il mistero della morte, che in sé è tanto terribile e triste, che vorremmo essere qui chiamati a ricostruire, ma piuttosto, quello della sua vita, che ha saputo celebrare sempre, con gioia e vitalità. Per lui la vita ha sempre saputo essere un imperativo assoluto, di coraggio e forza. Una Vita di fede incrollabile, che corre l’obbligo di commemorare, ancor più che nel suo costante fluire condiviso, e poi nel suo concludersi solitario e mesto. Nello scorrere del tempo, a al quale non c’è stato alcun argine, così come al tentativo per deviarne la vita, o mutarne la traiettoria. Come il senso ed il significato, della sua migliore lezione in lingua, spiegata sempre con estremo amore e gentilezza. Per “il Preside” era assai sciocco il pensiero di inimicarsi la vita, così come il considerarla banalmente nemica; se non più scellerato potesse risultare il rassegnarsi a viverla, priva d’intensità e vitalità; per non voler dissentire mai dal verbo essere, nel quale sovente, è sin anche difficile riuscire a riconoscere sé stessi, e poi anche gli altri. A intere generazioni di ragazzi ha insegnato molte cose, la più preziosa: il valore delle cose autentiche, ribadite nella mitezza e nella gentilezza, fissate in un suo sorriso sornione, che non fatica a riconoscere meraviglia e stupore. Ai suoi amici o colleghi, ha saputo far apprezzare il significato della sua allegria, delle scelte ponderate e misurate, tenute sempre al di sopra dello scollinamento, quelle cioè che impongono un corso, giammai forzato o sospeso nell’inerzia: “let's go to work”. Poiché la vita bisogna viverla, per provare magari soprattutto a digerirla. Ha spiegato e insegnato a molti ad assolvere agli infiniti compiti attraverso il raggiungimento di mete, verso cui sapersi orientare e scegliere le direzioni; le stesse nelle quali rendersi capaci di ritrovarlo o continuare a vederlo: sorridente, pacifico, ancora sempre pronto ad accompagnarti e ora a far parte di ricordi più cari, nel rimpianto di aver dovuto rinunciare alla sua presenza. Continueremo a ricordarlo sempre vigile e presente, premuroso, attento. Lo scorgeremo in ogni altra vita vissuta, la vita di una sua alunna, o di un alunno; e in tutte le vite in grado di Non accumulare rancore e Non moltiplicare presenze ostili, e spietate nel creato. Sapremo riconoscerlo ogni volta, nei volti e negli sguardi di nuovi, altri alunni NON violenti, e pacifici con loro stessi, e poi con gli altri. Lo chiameremo per nome, tutte le volte che scorgeremo chi non soccombe all’orrore della sofferenza, ed anche alle perfide lusinghe dell’invidia. Il suo sguardo dolce e rispettoso non dovrà scomparire all’orizzonte; aspetteremo di vederlo tornare, attraverso l’immagine dei suoi occhi sereni, mai troppo pieni delle vite degli altri, soprattutto in quelle degli ultimi o degli svantaggiati della vita. Nulla della sua vita dovrà andare smarrito, giacché ha saputo trovare i fili, metterli al punto giusto, costruire tele di conoscenze, reti di relazioni che ancora adesso, tengono uniti, anche nel ricordo, il solco del suo passaggio, per offrire senso e significato alla realtà, che sovente rischia impercettibilmente di perderlo. Il grande filosofo romano Seneca - in una lettera scritta per il poeta Lucilio - affermava che “Solo Il Tempo è Nostro” allora anche il mio tempo trascorso insieme a lui nella “nostra” scuola è stato un tempo prezioso e splendente, un tempo di dolce ascolto, in cui abbiamo intrecciato trame d’amicizia e amore per i “nostri” alunni. E’ stato un tempo in cui abbiamo accolto e sostenuto non solo i nostri ragazzi, ma anche e soprattutto la vita, le emozioni di docenti, in una condivisione elettiva tra individui, che si scelgono per continuare a saper stare insieme, e dare consistenza alla vita e alle proprie storie, nel tempo. La sua naturale inclinazione verso l’incontro e la condivisione, con la sua straordinaria vitalità nel saper accogliere gli occhi, gli incontri, le suggestioni delle situazioni, sono state dedicate nella sua esistenza, ad aiutare in varie forme, tutti coloro che ponevano domande alla sua disponibilità, ancor più alla sua vicinanza e presenza. In uno spazio riservato del suo tempo soggettivo, fatto di quiete pacificante, e senso dell’armonia, ha saputo imprimere il suo sigillo, per aggiungere valore e consistenza ad ogni atto educativo, che ha saputo trasformare in occasioni e pari opportunità per tutti. La sua Umanità di bella persona, è il solco nel quale continuerà a muoversi nello strabordante flusso dei ricordi: ha saputo rendere la scuola spazio attivo, in cui ognuno è sempre riuscito a scoprire e mettere in atto il proprio potenziale creativo, per ottemperare alle regole della democrazia e della vita. Magari avremmo dovuto fermarlo quel tempo, rivendicarne su noi stessi più tempo, lo stesso che parlava di allegria e convivi, e che ora inesorabile, svuoterà gli occhi, rattristerà inconsolabilmente i cuori tristi, per l’incontenibile commozione della sua perdita. Ma Incapaci di fermare il vento, di calmare il mare in tempesta, e arrestare ora il flusso di ricordi affastellati, di riparare l’irreparabile, o di guarire l’insanabile per resuscitare dalla morte, sentiremo ancor più incolmabile la sua distanza fisica, l’attonito vuoto nel quale dovremo pur imparare a continuare a chiamarlo. Il tempo cristallizzato del suo sorriso bambino, l’intensa sua aria bonaria al suo cospetto, hanno almeno concesso il privilegio, e il beneficio non di mille indulgenze o di voti all’ingenuità e all’incanto, ma un milione di preghiere alla bellezza e alla nostalgia, che suggeriscono invece di farlo continuare a restare tra noi. Vediamo la morte davanti a noi sempre lontana ed irraggiungibile; piccola, impercettibile. Invece è la morte di ogni giorno che consuma e ci raffredda. La osserviamo quasi senza tremori, come se Niente appartenesse, siamo in grado di svelarla e comprenderla solo quando ci sorprende da vicino. È allora che avvertiamo nostro, il tempo, quello che ci rende padroni dell’imperscrutabile ultimo bene - fuggevole e orribilmente precario - quello che riesce finanche a renderci persino insospettabilmente sciocchi o deliranti. È il misero tempo che sa come renderci Eroi, intrepidi e non già pavidi, magari neanche particolarmente coraggiosi; ma sempre in grado di risparmiarci sperpero di sofferenze, ombre e paure. Il tuo tempo tiranno, ti ha rubato agli affetti, alla vita, non ha concesso il beneficio alla tua vecchiaia, nella quale racchiudere il senso della tua stessa allegra esistenza, sempre riconoscente e mai lamentosa, nella quale riuscire sempre a ricreare e vivere, il legame fortemente vissuto con amici, e colleghi, che non deriva no, dal sangue, ma che come accade ai familiari, non richiede alcun voto di rinnovata dimostrazione d’affetto. Ciao Giose, ti sia lieve la terra. Let’s go to work. |
PUBBLICATO 14/12/2021 | © Riproduzione Riservata
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