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Una visita al museo del Risorgimento Giovan Battista Falcone. L'appropriazione del nostro passato, verso un futuro da costruire

Foto © Acri In Rete
fra Piero Sirianni
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I tragici eventi di cui la scorsa settimana è stato interessato il territorio del nostro Comune hanno generato, nella collettività, sentimenti vari: dall’ira al risentimento, dall’amarezza al disgusto, dalla paura al dolore.
Accanto a questi, abbiamo potuto notare un accresciuto senso di appartenenza – nato, in parte, dall’irritazione verso chi si è macchiato del (molto probabile) crimine della piromania, come anche dalla condivisione della sofferenza di chi ha perso terreni (coltivati o boschivi) o stava per vedere la propria casa divorata dalle fiamme – che ci ha visti maggiormente uniti (più empatici e compassionevoli).
In tanti ci siamo anche detti che tutto quel disastro che stava capitando intorno e molto vicino a noi era un attentato al bene comune, al territorio che è “nostro” (per appartenenza, eredità, quotidianità, storia).
E nella stessa ottica – quella di un tesoro che mi sento di aver gratuitamente ricevuto e sono chiamato a consegnare responsabilmente a chi verrà dopo di me – che questa mattina ho visitato il museo permanente del Risorgimento Giovan Battista Falcone, la cui preparazione ed attuale direzione è del prof. Giuseppe Scaramuzzo.
Mentre ascoltavo la storia, il racconto del dono di sé che tanti hanno fatto perché avessimo la libertà, mentre approfondivo maggiormente la figura e l’opera di Giovan Battista Falcone e degli altri acresi e patrioti, dentro di me ringraziavo e benedivo, ma anche speravo che tutto quello non venisse ignorato, non finisse nel dimenticatoio o peggio nel disprezzo, ma suscitasse un interesse nuovo (in noi oggi e nelle nuove generazioni): una sfida grande – me ne rendo conto – nel tempo della comunicazione immediata e dei social.
Avvertivo la vocazione a “fare memoria”, una memoria viva che interpella, un memoriale; ad appassionarmi di quelle pagine che voglio ritenere come il fondamento della nostra democrazia (dei diritti e delle conquiste di oggi); a innamorarmi sempre di più della ricerca, della ricostruzione storica; a sentire il passato come ciò che mi appartiene e mi costruisce (come uomo, cristiano, cittadino, italiano, europeo).
La visita di questa mattina ha suscitato in me tanti interrogativi: da dove vengo? Quali sono i doni ricevuti? Cosa sono chiamato a trasmettere ai posteri?; e propositi: come posso spendermi per simili progetti? Quale contributo posso offrire? Quali strategie posso mettere in campo per fare innamorare altri della magistra vitae?
Il lavoro – a riguardo – non manca: la “carne da cuocere” è abbondante, la fiamma è stata già accesa da coloro che si sono spesi e investono, tuttora, la vita in simili progetti.
Ora spetta a me, a noi, “tuffarci” nell’avventura e dedicare ad essa un po’ di tempo e di energie, di entusiasmo e di sacrificio; e questo affinché il nostro Meridione non sia solo emblema di criminalità, di cronaca nera, di illegalità; ma sia specchio di civiltà, storia di rinascita, fucina di coscienza civica e comunionale.
E non per vantarci, in modo vuoto, bensì per imparare e rilanciare, conoscere e crescere, scoprire e saper valutare criticamente.
L’autore del Siracide scriveva: «Facciamo l’elogio di uomini illustri, dei padri nostri nelle loro generazioni» (Sir 44,1): mettere in piedi e custodire, giorno dopo giorno, un museo, significhi per tutti non ammirare l’eroicità di un passato lontano (e, spesso, sepolto); ma divenire costruttori di una nuova umanità, più fraterna e solidale.

PUBBLICATO 09/08/2021 | © Riproduzione Riservata





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