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Acri

Foto © Acri In Rete
Padre Leonardo Petrone
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La storia di Acri comincia con gli Osci provenienti dalla vicina Lucania. Sono provetti pastori sempre in movimento verso dove l’erba cresce e il ruscello scorre, non avevano dato neppure nome al loro “campo base”.
Ci pensarono i Sibariti nel 445 a.C., il piano preparato da Pitagora sommerse Sibari. I sopravvissuti imboccarono la valle del Mucone e giunsero dove Cadamo mescola le sue poche acque con quelle vorticose del Mucone.
Si sentivano chiusi, alzarono gli occhi verso le rispettabili alture gridando “accra, accra” – “montagne, montagne”.
Era nata Acri, e quando salirono conoscevano già parole latine, aggiunsero “montes fertiles”.
Il vasto territorio è rimasto, l’immenso patrimonio boschivo va scomparendo, oggi è forte la spinta a farlo scomparire del tutto, il poco che resta ancora, non è sorridente e bello come allora.
Il territorio, con un raggio che oscilla dai 15 ai 25 km, è ancora vivo e continua a produrre.
Sofferenze e carenze sono in crescita nel centro cittadino: i molti e famosi artigiani di ieri sono scomparsi, non c’è più un calzolaio di ieri che i chiodetti alle scarpe li sapeva mettere.
Non c’è un parco dove l’anziano, seduto in panchina, ascolta la vivace tarantella mentre la signora è concentrata sul riso da dispensare ai colombi, manca lo spazio dove i bambini possano giocare in sicurezza, non c’è l’angolino fiorito dove i giovani, lontani da occhi curiosi, possano fare progetti e sperimentare carezze. “Paese carente dove i sogni dorati non nascono più”.
La bella e preparata gioventù di Acri è “migrante al Nord”. La maggior parte della “bella ed istruita gioventù di Acri” lavora nei dintorni di Verona.
Hanno scelto bene, vivono in prossimità di quello che manca ad Acri. Prima di parlare di quello che hanno trovato, una precisazione storica.
Verona è stata sempre una città fortificata, ricca e bella, con tre ingressi.
Attila vi era entrato vestito da contadino con un paniere di mele, la percorse e la trovò troppo bella, ordinò ai suoi Unni “nessuno la tocchi”. 50 anni dopo vi si era rifugiato Odoacre.
Teodorico pose l’assedio ad un solo ingresso dicendo “lasciamo aperti due ingressi, Odoacre fuggirà, Verona continuerà ad essere bella”. Così avvenne, Odoacre trovò morte a Ravenna.
Cosa hanno trovato a Verona i nostri giovani? Prima di tutto lavoro.
A pochi km fuori Verona hanno trovato il bello e il buono che supera ogni vivace fantasia: il parco “ “Sigurtà”, esisteva prima de 1600, ricevette migliorie nel 1700 grazie a Ippolito Pindemonte, nel 2011 ebbe il suo vasto “Labirinto”, nel 2015 fu promosso “secondo parco più bello d’Europa”, nel 2017 fu salutato “giardino ecologico mondiale”.
Ultimamente è stato definito “immutato pezzo di Eden che neppure Adamo ed Eva hanno inquinato” col loro semplice piscio.
Da Marzo a Novembre da lavoro a oltre 20 operai e tante addette all’accoglienza. Anche ad Acri si potrebbe fare qualcosa … non come, ma quasi simile al parco di Verona.
Se qualcuno decide di “vedere con profitto” faccia uso del trenino panoramico. Tornerete a casa con occhi sorridenti e parlantina inarrestabile.
Mi ritengo fortunato: ho viaggiato molto, ho conosciuto nuove Terre e popoli meravigliosi.
Le prime visite ai musei, ai parchi, ai giardini pubblici, solo a titolo conoscenza: sono entrato nella prima capsula arrivata sulla Luna. I cittadini dirigenti non hanno capito che il “Bello” esercita intraprendenza e miglioramento.
Leggete bene il grande Dostoevskij… “Si vive senza pane, non si vive senza Bello”. L’angolo bello, sicuro con piante e fiori, rende dotto l’analfabeta.
Creando un bel giardino comunale , di certo sarebbe beneficio ai residenti e agli sporadici passanti.
Osserviamo meglio questa perla del passato: Acri, imprigionato da tre rispettabili alture, Crista, Buda, Logna, è più che un paese e i suoi abitanti sono spiriti forti, eruditi e sognatori.
Io amo questo mio paese e godo sempre i suoi orizzonti verdi e fertili.
La sua gioventù è costretta ad emigrare ma le radici del loro cuore sono qui ben radicate come la quercia. Terra amara, Terra amata.
Il dialetto muta accento nelle molte contrade, ma è sempre gentile e musicale.
In Acri non c’è nulla di abbagliante e nulla di grandioso. Di grandioso solo le colline che offrono residenza a numerosi stranieri.
E’ luogo minore, le uniche meraviglie sono antiche, il nuovo è già vecchio e non offre speranze. Il glorioso prosciutto, l’allegra soppressata e la stagionata sciungata di capra sono ricordi.
Con la scomparsa del panoramico ciminiero, grande simbolo di laboriosità, è scomparsa anche la filanda.
La vita ha perso gusto, la nostalgia dorme, la memoria langue, la decadenza domina.
Urge ritrovare il gusto, riprendere a coniugare bene: mente – cuore – mani.
Si potrà ancora dire “questo è Acri”… diversamente… “qui c’era Acri”.
Lasciate la poltrona, aprite il cantiere, il campo coltivato offre sempre il doppio.

PUBBLICATO 05/05/2021 | © Riproduzione Riservata





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