Il calendario rurale della Pasqua: corajisima
Gaia Bafaro
Tra le antiche usanze della Calabria, oggi vorremmo parlare di una molto particolare, diffusissima nel catanzarese e pressoché assente in altre parti della regione: Corajisima. Corajisima è una bambola di pezza con sette penne di gallina in testa o sotto la gonna, collane di castagne, fichi e altre leccornie, rappresentata con un viso smunto e pallido, vestita di nero e con un fuso in mano che le permette di guadagnarsi da vivere. Si tratta, secondo la leggenda, della vedova di Carnevale esposta fuori dal balcone il giorno del Mercoledì delle Ceneri, veniva utilizzata come una sorta di calendario rurale per tenere il conto delle sette domeniche quaresimali che precedono la Pasqua. In base al paese cambia il modo di utilizzo della bambola; alcuni affidavano il compito di strappare una penna ai più piccoli di casa ogni domenica e solo una volta giunta Pasqua e strappata l’ultima penna di colore bianco (le altre erano scure), potevano mangiare tutti i dolciumi che venivano messi addosso o vicino a Corajisima; in altri posti veniva staccato un frutto secco dalle sue collane mentre poi vi era chi legava un filo da un capo all’altro della strada e a poco a poco faceva “camminare” Corajisima fino a che non raggiungeva la parte opposta della via. C’è anche un’altra versione che consisteva nell’appendere ad un filo sette Carajisime (Anna, Susanna, Rebecca, Diana, Lazzara, Palma e Santa) e fino all’arrivo della Santa Pasqua ogni domenica se ne metteva da parte una. Fino a quando Carajisima era in giro, si doveva digiunare ogni mercoledì e venerdì, bisognava astenersi anche dai rapporti sessuali, non bisognava rifare il letto e le donne non legavano i capelli nella cosiddetta “crocchia” come di consueto. La punizione della vedova per coloro che trasgredivano la penitenza era molto cruenta, infatti si diceva che tagliasse la lingua ai peccatori e la bollisse in un calderone. Un detto popolare così recita : “Vattene schifoso maiale (riferito a Carnevale) che arrivo io, sarda secca, per saziare i bei giovani con i bei digiuni”. Terminato il suo compito, la bambola veniva riposta in un baule, le sue penne e alcuni frutti, in alcuni paesi, diventano un amuleto contro il malocchio e venivano bruciati per allontanare spiriti e negatività, si trattava inoltre di un rito propiziatorio per segnare la fine dell’inverno e l’inizio di una nuova primavera. Corajisima rappresenta il tempo e il suo fuso, quindi, potrebbe far pensare alla terza Parca che recide il filo della vita ma che in sé racchiude la promessa e la speranza della resurrezione, la sua origine è chiaramente pagana poiché in diverse occasioni l’antico credo utilizzava bambole realizzate con vari materiali (in base al periodo dell’anno) che godevano di una funzione propiziatoria o protettiva. La tradizione di Corajisima è ancora praticata soprattutto dalle persone anziane. Nella religione cristiana alcuni associano la bambola alla madonna dei sette peccati e aggiungono a Corajisima una corona fatta di piume e un rosario intorno al collo. Certo è che questa antica usanza è testimonianza di come sacro e profano si fondano fino a formare un nuovo credo popolare.
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PUBBLICATO 03/04/2021 | © Riproduzione Riservata
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