Emergenza sanità Calabria, le proteste aumentano
Antonella Abbruzzese - Tullio Laino
“Ci sono due modi per far muovere gli uomini: l’interesse e la paura”, così scriveva Napoleone Bonaparte.
Dopo che la sanità in Calabria è arrivata allo stremo con una carenza di personale, con un disavanzo frutto di sprechi, di management inadeguati, con un aumento dei costi e dei disservizi, finalmente avanza la paura di veder fallire un sistema sanitario, istituito con legge n. 833 del 1978, modellato sull’art.32 Cost. ed ispirato ai criteri dell’universalità, dell’uguaglianza e dell’equità che ha rappresentato negli anni, nonostante le sue deficienze, un segno di forte democrazia. La speranza di sanare un disavanzo, che si trascina da ben 11 anni, e la necessità di rilanciare le cure in Calabria favorendo il riavvio delle assunzioni sono stati i principi espiratori del Decreto Calabria. Il Decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, “recante misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria” è stato convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2019, n.60. “Il provvedimento – spiega una nota del Senato – si suddivide in tre Capi: il Capo I (articoli da 1 a 10) reca disposizioni speciali per il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario ed il raggiungimento degli obiettivi del Piano di rientro della regione Calabria; in particolare si nomina un commissario ad acta per una verifica straordinaria dell’operato dei direttori generali, si istituisce un’unità di crisi per le ispezioni, si sospende il blocco del turn over, si prorogano gli esami di Stato di medicina. Il Capo II (articoli da 11 a 13) reca disposizioni urgenti in materia di personale e di nomine negli enti del Servizio sanitario nazionale, di formazione sanitaria, di carenza di farmaci e di riparto del fondo sanitario nazionale; il Capo III (articoli da 14 a 16) reca disposizioni transitorie e finali (tra le quali la clausola di salvaguardia delle autonomie speciali di cui all’articolo 15-bis, introdotto dalla Camera). Nonostante vi fossero buoni propositi, il Decreto Calabria non ha operato il miracolo; la rete ospedaliera deve essere riordinata e le assunzioni sono state di fatto bloccate. Al netto delle intenzioni del Legislatore, il Decreto Calabria ha determinato una stratificazione normativa che si è dimostrata paralizzante ed antitetica sia alle disposizioni legislative di rango costituzionale, nonché a quelle di rango ordinamentale attuativo. L’istituto del Commissariamento, con il quale lo Stato Centrale si sostituisce alle Regioni nella gestione dei Servizi Sanitari Regionali, quando sono messi in pericolo i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), è disciplinato dall’articolo 120, comma 2, della Costituzione, nella novella legislativa recata dalla Legge Costituzionale N°3/2001, e dalle disposizioni attuative di cui all’articolo 8, comma 1, della Legge N°131/2003 (cosiddetta Legge La Loggia), all’articolo 4, commi 1 e 2, del Decreto – Legge N°159/2007, convertito, con modificazioni, dalla Legge N°222/2007 ed all’articolo 2, commi 80, 83, 83/bis, 84, 88, 88/bis, 95, della Legge N°191/2009. Con tali disposizioni legislative, confermate dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (Sentenza n.14/2017; Sentenza n. 199/2018;) e del Consiglio di Stato (Sentenza n.2151/2015; Sentenza n.4059/2016), sono stati ampiamente definiti e delimitati i poteri normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali in capo al Commissario ad acta per l’Attuazione del Piano di Rientro dai Disavanzi Sanitari Regionali. L’introduzione, con il Decreto Calabria, dell’istituto, rispettivamente, del dissesto finanziario (articolo 5), in applicazione dell’articolo 248 del TUEL, e dello scioglimento delle Aziende del SSR per infiltrazione malavitosa, in attuazione degli articoli 143 e seguenti del TUEL, hanno aggravato lo stato di paralisi gestionale e finanziaria delle Aziende medesime. In seguito all’emergenza COVID, l’idea di un sistema sanitario efficiente diventa indispensabile, la sanità deve essere pubblica e il privato deve svolgere un ruolo integrativo e complementare al Servizio Sanitario Pubblico, non già sostituirsi ad esso. Costruire una rete della medicina territoriale ed ospedaliera di prossimità diventa una questione di civiltà, l’unica in grado di garantire una risposta concreta alle esigenze di tutti i cittadini, soprattutto di quelli che appartengono alle fasce più deboli e che versano in una situazione di difficoltà economica. Proprio su questi propositi diventano sempre più evidenti le proteste dirette ad ottenere una maggiore attenzione alla questione sanità in Calabria. A tale proposito l’8 luglio si è tenuta dinanzi alla Cittadella regionale di Catanzaro una manifestazione organizzata dai sindacati CGIL, CISL, UIL che hanno chiesto l’impegno diretto del Governo per risolvere la questione. La presa di posizione delle OO. SS., se pur legittima ed apprezzabile per quanto concerne le questioni poste sul tappeto, con particolare riferimento alla fine del Piano di Rientro dai Disavanzi Sanitari e del Commissariamento, interviene tardivamente, a distanza di oltre un decennio, nel merito dei nodi strutturali che hanno caratterizzato la gestione delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, determinandone il corposo disavanzo di gestione. E’ tempo che, anche sulla scorta dell’emergenza epidemiologica in atto, si pensi ad una riformulazione dell’offerta sanitaria complessiva, sganciata dai parametri aziendalistici ed econometrici, privilegiando le spese d’investimento, senza escludere un ritorno della Sanità alla esclusiva competenza legislativa dello Stato, mediante una riforma dell’articolo 117, commi 2 e 3, della Costituzione, con la creazione dell’Agenzia Nazionale della Salute. |
PUBBLICATO 16/07/2020 | © Riproduzione Riservata
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