Quattro passi
Claudio Pettinari
Non ho mai capito cosa volesse dire veramente “aree interne”.
Ho sempre considerato l’Italia come un unico corpo all’interno del quale ci sono organi fondamentali come cuore e polmoni (colline e montagne), e in superficie un guscio protettivo altrettanto importante, la pelle (coste e pianure). Ho sempre vissuto in questi luoghi, su queste colline armoniose e silenziose, in realtà troppo spesso contrapposte a zone di pianura o costiere, molto più popolose e movimentate, cosciente che lo spopolamento qui avesse preso il sopravvento già al tempo dell’Unità di Italia. Non ho mai capito se vivessi in un territorio di collegamento oppure di separazione tra due terre che si affacciano su mari diversi. Fino agli anni 90 qui eravamo autosufficienti, avevamo scuole, uffici, sanità, giustizia, lavoro. Il farmacista, il prete, il barbiere, il medico e il geometra anche nelle nostre piccole frazioni erano rappresentanti di una comunità silenziosa ma operosa, umile ma ricca in dignità. Qui chi era emigrato a Roma o a Milano per lavoro tornava sempre, magari in estate solo per vedere i vecchi genitori e gli amici rimasti, oppure per mangiare qualcosa di sano e respirare aria pulita, ma tornava e continuava a far parte della nostra comunità. Andavamo a far spesa al negozio di generi alimentari, un termine oggi non più utilizzato. Acquistavamo il giornale nello stesso negozio dove la mamma acquistava la “spagnoletta” e la canottiera, la prima serviva per cucire i nostri strappi, la seconda la comperavi lì, perché solo quella in vendita lì non ti dava prurito. Se al negozio di moda non trovavamo l’abito giusto, il commerciante lo faceva venire dalla costa, non lo avremmo mai acquistato da un’altra parte e non lo avremmo mai acquistato se il nostro commerciante di fiducia non avesse confermato che ci stava a pennello. Aree interne, aree spopolate ma aree dove le relazioni tra le persone contavano sopra ogni altra cosa. Poi tutto è cambiato. In poco tempo gli uffici principali sono stati trasferiti, gli ospedali chiusi, le scuole dapprima accorpate e poi serrate. I commercianti non hanno più passato le proprie attività ai figli, le hanno chiuse; i cellulari ed i computer hanno reso non più necessarie le visite ai propri parenti in montagna. Anche i figli sono tornati più di rado. Gli abiti, ma anche il cibo, oggi vengono acquistati nei centri commerciali, insieme ai profumi, ai giochi, agli occhiali e a quanto necessario per il bricolage, centri commerciali tutti molto distanti dalle aree interne. Mi domandano spesso cosa si può fare per far tornare la gente a vivere sulle nostre colline, sulle nostre montagne. Io credo che la prima cosa che si dovrebbe fare è riportare servizi, scuole, sanità, e soprattutto lavoro, oppure tutto sarà inutile. Nessuno di noi infatti potrà accettare che i propri figli si alzino al mattino e trascorrano 2 ore in autobus per andare al liceo più vicino, nessuno di noi accetterà di fare 140 km per una vista medica alle 9 di mattina, nessuno di noi sarà disposto a fare 100 km per andare a ritirare un certificato o depositare una documentazione. Quando una città viene fondata, oltre a decidere dove collocare la residenzialità è necessario definire dove predisporre edifici pubblici, luoghi di aggregazione, negozi, uffici e scuole. Questo è il primo passo. Nelle scuole e negli uffici bisognerà poi mettere gente altamente preparata. Questo è il secondo passo (nessuno vorrà un cattivo insegnante per i propri figli). Poi sarà necessaria un’attività di formazione ed informazione rivolta soprattutto ai giovani, attività che servirà a mostrare che la qualità della vita sulle nostre colline è molto alta, che il cibo è più buono, l’aria è pulita e le persone sane, che i centri commerciali non fanno bene all’economia del paese. Questo è il terzo passo. Poi bisognerà portare lavoro, tanto lavoro magari puntando sulla ricchezza del nostro patrimonio culturale, sull’innovazione digitale e dei materiali, sulla qualità dei prodotti agroalimentari. Questo è il quarto passo. Tutto questo potrà avvenire solo se la ricostruzione sarà stata avviata con successo. Siamo ancora fermi. E non siamo ancora in grado di fare il primo passo. |
PUBBLICATO 16/06/2020 | © Riproduzione Riservata
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