Coronavirus, ti riconosco bene mascherina!
Vincenzo Rizzuto
Tutto quello che sta succedendo da qualche mese in varie parti del mondo, e che minaccia di interessare tutti i continenti, sembra un incubo, un ritorno forzato all’indietro, ai secoli passati, come quelli, per esempio, descritti da Giovanni Boccaccio nel Decameron nel 1350, quando la peste nera fece oltre venti milioni di morti nella sola Europa. Anche in quella occasione la gente fuggiva spaventata dalle città nelle campagne, nella speranza di evitare la morte. Ma quello spavento forse non era così drammatico e complicato come lo è lo sgomento, la paura e il disorientamento che sta vivendo l’uomo del nostro tempo, il cosiddetto uomo tecnologicus, l’homo sapiens, che si è quasi convinto acriticamente di potere vincere qualsiasi sfida con la sua scienza e tecnica, attraverso cui solca lo spazio, sbarca sulla luna, si accinge ad atterrare su Marte, comunica in tempo reale con i suoi simili da una parte all’altra del pianeta, e guarda i microrganismi come i virus attraverso gli ingrandimenti a scansione elettronica.
Questo stesso homo sapiens però acriticamente spesso si rifiuta di considerare il fatto che la sua scienza non è affatto onnipotente, ma ha limiti spesso invalicabili che ne minano credibilità e capacità di intervento sulla complessità della natura; e così basta uno dei tanti microorganismi, come il coronavirus, infinitamente piccolo, ma capace di difendersi e trasformarsi continuamente, per inginocchiare interi popoli e continenti come periodicamente è sempre avvenuto. Sì, purtroppo, quello che stiamo vivendo in questi mesi si è verificato tante altre volte nel corso dei millenni, dai tempi dei faraoni a quelli della Bibbia, e l’uomo, comunque, anche se a costo di grandi sacrifici, è sempre riuscito a sopravvivere facendo tesoro di tutte le più dolorose esperienze cui è stato sottoposto; è proprio questa capacità di rialzarsi dalle sciagure il meraviglioso aspetto ‘divino’ della creatura umana che, industriandosi senza posa, affinando sempre più le sue capacità di decodificazione delle leggi della natura, è giunta agli attuali ‘grandi’ traguardi dell’homo tecnologicus. Ma tutto questo non deve autorizzarci a creare miti di onnipotenza, che inevitabilmente si traducono in feticismi, e ottundano le coscienze creando false speranze palingenetiche, che favoriscono la diffusione di alienazione e smarrimento della coscienza critica, specie nei giovani, spinti a vivere in dimensioni virtuali, ingannevoli, in cui non è loro richiesto alcuno sforzo e sacrificio perché tutto appare loro offerto gratuitamente, un po’ come erano i ‘mobili di Aiazzone’ qualche tempo fa; in questo clima ovattato, infatti, di un mondo ‘facile’, in cui non è richiesta alcuna ‘fatica di vivere’, in cui non ci sono malattie, ostacoli e limitazioni, in cui dilaga il consumismo, i giovani troppo spesso si smarriscono, perdono di vista la realtà e diventano marionette, burattini in mano di abili, spietati burattinai che tirano le fila di tutto il tessuto sociale: ed ecco allora farsi strada l’abbandono di una concezione dialettica della vita, quella sana concezione critica, attraverso cui l’uomo di ogni condizione ed età, ma specialmente giovane, appunto, si rende conto che l’esistenza non è soltanto abbondanza, consumo, spensieratezza, solipsismo, eterna gioiosa esperienza, ma è anche sacrificio, impegno, altruismo, malattia da cui non ci si può sottrarre. In questo quadro, così, non svagato della realtà, va collocata anche l’esperienza traumatica del coronavirus di questi tempi, che certamente con nuovi, inevitabili sacrifici si riuscirà a vincere da parte della solita intelligenza ‘divina’ che è nell’uomo da sempre. Ai giovani soprattutto, quindi, diciamo: siate seri, impegnatevi con lo slancio coraggioso e forte di cui siete capaci, non solo nel virtuale e nell’effimero, ma anche nella realtà pulsante e certamente non facile di ogni giorno, consapevoli che una esistenza dignitosa non può essere gratuita per nessuno. Il coronavirus ci impone di fermarci, di riflettere; ebbene, fermiamoci pure, ma per riprendere fiato e ricominciare ancora più forti e vogliosi di affrontare il cammino della vita, che diventa più affascinante dopo lo scampato pericolo! Non correre uomo Non correre uomo, non inseguire i fantasmi, fermati e parla con te stesso; ascolta con silenzio religioso tuo fratello che già fermo piange. Fermati e ascolta il vento, che invano cerca di parlarti. Non correre lungo strade cosparse di trappole mortali. Fermati e ascolta le voci della vita, che non corrono appese al cellulare, fermati e ascolta i battiti del cuore, fermati e guarda con le tue pupille, annusa il mondo come fa il cane con il suo istinto. Fermati e procedi con le tue gambe, appoggiandoti magari ad un basatone. Sentirai così l’asprezza del selciato E ad ogni passo apprezzerai la vita. Nella calma ritroverai te stesso, e finalmente, forse, ritarderai l’arrivo della morte certa. (versi della raccolta ‘Fiori di pietra’) |
PUBBLICATO 12/03/2020 | © Riproduzione Riservata
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