Acri prima di tutto
Manuel Francesco Arena
Acri, una città come altre ma diversa da tutte. Una terra gloriosa che si sviluppa sui monti della Sila Greca popolata da gente silenziosa e chiusa nella propria rassegnazione del sopravvivere quotidiano.
Acri spinge i suoi figli lontano tramite lunghi viaggi in pullman. Crea pionieri costretti a dare altrove il proprio talento, la propria forza e le proprie idee. In altre terre e latitudini dove si è più liberi di provare, cadere e rialzarsi in libertà. Senza chiedere e dire per forza “grazie”. Acri è circondata da bellezza, ma questa il cittadino medio ormai nemmeno la vede più. I paesaggi, i fiumi e la natura circostante sono come dei vecchi che raccontano storie ma chissà perchè nessuno ha più voglia di ascoltarli. La poesia è come fosse secondaria in questa città che dorme il sonno dei tempi all’ombra del proprio ricordo. Eppure la vita scorre come dovunque. Le strade profumano di pane appena sfornato, a primavera le margherite riempiono i campi ed i vecchi narrano la loro vita passata in piazza senza malinconie. Il problema vero che ci sta fregando specie a noi giovani, è il non saper più guardare nuovi orizzonti con occhi asciutti. Il non saper più combattere. L’arrendersi con estrema facilità. E’ troppo facile gettare la spugna e commiserarsi. Il difficile è resistere a testa alta comunque, consapevoli che dopo la tempesta viene sempre il sole e nell’attesa più che gettarci a terra, bisogna avere il coraggio di ballarci sotto la pioggia come diceva un antico saggio. Bisogna voltare pagina e prendere più consapevolezza e fiducia. Bisogna viverlo di più il nostro territorio facendo di tutto perché sopravviva e non cada nel baratro, altrimenti le conseguenze in futuro saranno piuttosto gravi e la nostra città diventerà soltanto un piccolo borgo popolato solo da ricordi, rimpianti e pochissimi eletti umani che vivono come specie in via d’estinzione chiusi in una riserva. Dunque, basta dire la famosa frase “Acri è morta” perché semplicemente Acri è solo un luogo che esiste soltanto sulle carte geografiche e non una persona che mangia e respira. Semmai esistiamo noi acritani ed a morire moralmente allora saremmo proprio noi come comunità se molliamo. Proprio da questo senso di comunità se si vuol tornare grandi bisogna ripartire. Ripartire da ciò che resta e cose che restano e che tutti ci invidiano per la verità, ce ne sono tante. Sant’Angelo con la sua basilica, l’ospitalità che ci contraddistingue , il centro storico, le frazioni, la stessa Sila e la lunga storia millenaria solo per citarne alcune. Ciò ovviamente è un esercizio difficile, ma alla lunga chi la dura la vince e noi acritani nonostante tutto, abbiamo il cuore grande e la testa dura per ricostruire da queste macerie il futuro nostro e dei posteri che verranno l’indomani. Basta solo prendere coscienza che ognuno di noi è un mattoncino fondamentale di questa struttura che deve essere costruita con la malta invisibile dell'orgoglio d'appartenenza. |
PUBBLICATO 14/02/2019 | © Riproduzione Riservata
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