Oltre che (a)cretini ora siamo anche ignoranti e barbari
Leonardo Marra
E’ risaputo, oltre ad essere fortemente consigliato, che prima di iniziare a parlare bisognerebbe collegare ed avviare il cervello, soprattutto se a parlare è chi, in funzione del suo mestiere, raggiunge una platea molto vasta quale può essere quella televisiva, radiofonica o, negli ultimi tempi, quella del web.
Ovviamente non tutti tengono in conto questa attività preliminare e dunque, vuoi per esibizionismo, vuoi per ignoranza, vuoi per semplice incompetenza, attivano la bocca che, indipendentemente dalla connessione con i neuroni, comincia ad andare per conto suo. A volte succede che, questi parolai, suscitino semplicemente ilarità per la loro inettitudine o un senso di compassione per l’incapacità di ragionare e distinguere il confine fra istrionismo e goliardia, fra la semplice celia e l’arroganza, la prepotenza, l’altezzosità. Così capita che un sedicente giornalista (ma io lo definirei imbonitore) (tal Giuseppe Cruciani) di una testata radiofonica nazionale (radio24), si improvvisi fustigatore del dialetto e si erga a paladino della lingua italiana e che il video relativo alla trasmissione della sua performance giri per la rete creando in taluni malcelata soddisfazione, in altri ripugnanza, in altri ancora rabbia e disgusto per il basso livello in cui è caduta la radiotelevisione italiana. Il soggetto in questione, coadiuvato da un suo “pari” (certo David Parenzo) che gli fa da spalla, improvvisa la parodia tragicomica dell’”italiota” scandalizzato per l’utilizzo che, in una parte d’Italia (“Acri, provincia di Cosenza”), si fa del dialetto, anche se dubito che l’insofferenza gli derivi da uno studio accademico effettuato sull’utilizzo del dialetto nelle realtà regionali italiane. No, io credo che, molto più banalmente, cavalcando la tigre della faciloneria mediatica, puntando sul fatto che, a suo parere, l’Italiano medio si scandalizzi per l’uso poco appropriato del dialetto piuttosto che per le porcherie quotidiane che da lui ed i suoi compari vengono propinate al pubblico radiofonico, per rafforzare la sua visione distorta della realtà, fa partire l’ormai monotono passaggio della campagna elettorale acrese, in cui è coinvolto il nostro concittadino sign. Cofone, ormai visionato da tutto il web. Ma non gli basta! E’ necessario rafforzare il senso di disgusto in quella parte di Italia che si lascia affascinare da un tipo di radio spazzatura. Ed ecco ancora lo spezzone di un passaggio di un altro candidato in un comizio ripreso sempre dalla campagna elettorale acrese. Ovviamente tra un passaggio e l’altro della parodia seguono affermazioni di una banalità e di una sciatteria uniche: “…la candidata dell’area di centro e che cazzo ne so come si chiama… “, “ ma ce n’è uno che parla Italiano là ad Acri, provincia di Cosenza, c’è uno che parli Italiano? Poi dicono degli immigrati che devono fare lezioni di Italiano…”, mentre l’altro individuo (Parenzo) sottolineava il suo compiacimento con dei “bravo,bravo, un po’ di buon senso anche tu ogni tanto…”. In conclusione dello show arriva la telefonata in diretta al sign. Cofone, il quale inizialmente risponde in maniera appropriata alle domende che gli vengono rivolte, ma dopo qualche minuto, accortosi della “trappola” mediatica tesagli, interrompe la comunicazione con i due individui. Non vi nascondo che la faccenda mi indigna e non poco, sia come cittadino acrese, sia come cittadino italiano. Il sedicente giornalista non solo, a mio avviso, non ha riflettuto sul fatto che con il suo agire stava dando dell’ignorante a tutta una comunità (dal primo all’ultimo cittadino) e quindi probabilmente potrebbe risponderne in sede giudiziaria, ma ha dimostrato di sguazzare in una ignoranza abissale. Il dialetto, in quanto primigenia forma di comunicazione fra individui di una stessa comunità, è anteriore a qualsivoglia forma di idioma organizzato. Il dialetto in Italia (e non solo) è talmente radicato che intere comunità lo utilizzano come lingua alternativa all’Italiano, ma è probabile che di ciò il nostro sedicente giornalista non abbia contezza o per motivi di comodo preferisca tacere. Davvero una grande dimostrazione di professionalità. Secondo la logica di questo “giornalista”, visto che in Italia la lingua ufficiale è l’Italiano, tutti dovrebbero dimenticare le proprie radici ed esprimersi unicamente nella lingua ufficiale: l’Italiano, appunto. Bene. Dunque, per estensione logica, dato che l’Italia fa parte della Comunità Europea e che la lingua ufficiale della Comunità Europea è l’Inglese, tutti noi dovremmo esprimerci in tale lingua dimenticando le nostre origini ed anche l’idioma a lui tanto caro. Ma mi faccia il piacere!!!! Oppure, molto probabilmente, lo scandalo per lui (e non solo per lui) consiste nell’aver permesso a persone con poca dimestichezza con l’Italiano di partecipare come protagonisti ad una campagna elettorale. Ancora una volta gli verrò in soccorso, ricordandogli che la nostra Costituzione garantisce a tutti i cittadini la partecipazione alla vita politica. Infatti aderente ai principi democratici cui si ispira essa prevede per chi lo desideri, la partecipazione ad una competizione elettorale, a prescindere dalla fede religiosa, dall’appartenenza all’uno o all’altro sesso, a questa o quella classe sociale, non prevedendo nulla sulla padronanza della lingua italiana. Infatti da nessuna parte sta scritto che si debba pronunciare un comizio in lingua italiana. Se così fosse, perché questo sedicente giornalista ignora i raduni leghisti di qualche anno fa quando alcuni dei grandi nomi del gota politico si esprimevano esclusivamente in dialetto(padano?!?)? Purtroppo per lui, sono i cittadini a decidere chi può o non può rappresentarli e non certo un “pinco pallino” che dai microfoni di una qualunque radio si permette di deridere in maniera spudorata un cittadino italiano e tutta la comunità cui appartiene. Voglio sottolineare che non si è italiani solo perché si parla forbito e con ricchezza di lessico; si è italiani soprattutto perché i nostri antenati hanno versato lacrime e sangue per questa Nazione, perché le dominazioni che si sono susseguite su questa nostra terra del sud hanno lasciato spazio ad una delle poche forme di unione culturale che sia riuscita a sopravvivere nel tempo: il dialetto, appunto. E’ in esso che per centinaia di anni la gente di tutte le comunità (non solo di Acri) si sono riconosciute, fino ad assurgerlo a carta di identità collettiva, a genoma identificativo di appartenenza ad una comunità che esprime i suoi tratti distintivi anche attraverso la perpetuazione di questa forma ancestrale di comunicazione. E se il nostro “giornalista” non lo comprende beh! Ce ne faremo una ragione. |
PUBBLICATO 29/06/2017 | © Riproduzione Riservata
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